L’articolo di Enzo Bianchi apparso lo scorso 23 maggio su Repubblica ha il pregio di mettere in luce in poche righe gli elementi realmente in gioco nella crisi che il cristianesimo e la Chiesa in Italia stanno vivendo.
Di fronte allo smarrimento prodotto dalle chiese vuote, che caratterizzano la (non) ripresa della vita comunitaria ecclesiale dopo lo stop impostato dalla pandemia, fratel Enzo ha il coraggio di riconoscere che le argomentazioni con le quali veniva normalmente spiegato il calo della partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa, da sole non reggono più: “secolarizzazione, mutamento di vita nella società del benessere, consumismo, relativismo morale” non sono sufficienti a spiegare un’accelerazione così dirompente nell’abbandono della pratica religiosa, soprattutto nella fascia giovanile e adulta. C’è in atto qualcosa di più serio e profondo, che lui identifica in una crisi di fede dentro la Chiesa, in particolare riguardo la risurrezione e la vita oltre la morte: “Se non si crede che Gesù Cristo è vivente, è risorto da morte e ha vinto la morte, che ragione c’è a professarsi cristiani? Se non si crede che la morte è solo un esodo, che ci saranno un giudizio sull’operato umano e una vita oltre la morte, perché si dovrebbe diventare cristiani e perseverare in questa appartenenza?” scrive.
Personalmente condivido l’intuizione di Enzo Bianchi, ma credo vada approfondita. La mancanza di fede che denuncia, credo nasconda una questione più radicale, che riguarda la capacità del cristianesimo di presentarsi come opzione credibile e significativa per l’umanità di oggi, dentro e fuori la Chiesa. Il tema vero non è la mancanza di fede nella risurrezione e nella vita oltre la morte ma che dimensioni proprie della fede, quali risurrezione e vita oltre la morte, non siano più percepite da parte delle donne e degli uomini di oggi come rilevanti nel contribuire a dare significato alla vita. Di fronte ad esse la questione oggi non è credere o non credere, ma una domanda ancor più radicale: fosse anche vero, cosa me ne faccio?
Il tema serio che, a mio avviso, la Chiesa non si è ancora davvero posta è la constatazione di come il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo porti con sé un mutamento dei luoghi esistenziali in cui uomini e donne cercano e trovano il senso per la propria vita. La domanda di senso non è sopita – come teme Enzo Bianchi – ma si esprime e si indirizza altrove rispetto a prima, facendo sì che le risposte di un tempo risultino non più pertinenti. Da questo punto di vista la proposta di fede cristiana, ad esempio per quel che concerne il tema della risurrezione e della vita oltre la morte, viene percepita, nelle fasce giovanili e adulte, come risposta a una domanda che non c’è, come offerta di uno strumento utile a qualcosa che nel contesto della vita occupa oggi una posizione irrilevante. Sta qui la radice dell’evidente sterilità di tanti sforzi pur generosamente profusi – riconosciuta lucidamente da Enzo Bianchi – e della riduzione del cristianesimo a etica e spiritualità senza passare per la fede, percepita come superflua.
Il punto critico però non sta nella proposta cristiana in quanto tale: la fede ci consegna la certezza di un Dio che non smette mai di rivolgere alle donne e agli uomini di ogni tempo la sua Parola che feconda e vivifica. Se ciò che come Chiesa proponiamo risulta sterile e incomprensibile, significa che siamo noi cristiani a non riuscire a cogliere quale Parola Dio stia rivolgendo all’umanità di oggi. Da questo punto di vista serve un cambiamento di prospettiva. Siamo abituati a pensare che essere cristiani significhi credere e condividere qualcosa di fisso e sempre uguale nel tempo. Se questo è vero per i contenuti fondamentali della fede, non lo è per ciò che riguarda l’apporto specifico – la particolare Parola – che la fede offre agli uomini e alle donne in epoche diverse. Lo stesso messaggio in contesti diversi svela ed assume specificità e significati diversi. La domanda è: quali specificità e significati nuovi svela ed assume il Vangelo di Gesù nel contesto dell’umanità di oggi? Per l’umanità di oggi?
Per rispondere è necessario intraprendere una riflessione che vada a cogliere in profondità le direzioni verso le quali si orienta la domanda di senso delle donne e degli uomini oggi; riflessione che, evidentemente, non può essere condotta in modo teorico, ma attraverso l’immersione nel mondo e nei vissuti delle persone (come non smette di chiedere Papa Francesco). Quale Parola invocano questi vissuti? Quali orizzonti nuovi? Quali speranze? E cosa della fede cristiana è capace di intersecarsi, di intercettare tutto questo?
L’ultimo passaggio di questo percorso sarà il più impegnativo: servirà riformulare senza ambiguità la proposta cristiana mettendo al centro la Parola che Dio rivolge all’umanità oggi; rivedere le prassi, tenendo conto della realtà concrete della vita, al di là di ogni pur bellissima idea non più praticabile; reinventare tutto quello che, a partire dalla liturgia, appare distante e incomprensibile.
«Da questo punto di vista la proposta di fede cristiana, ad esempio per quel che concerne il tema della risurrezione e della vita oltre la morte, viene percepita, nelle fasce giovanili e adulte, come risposta a una domanda che non c’è, come offerta di uno strumento utile a qualcosa che nel contesto della vita occupa oggi una posizione irrilevante. Sta qui la radice dell’evidente sterilità di tanti sforzi pur generosamente profusi – riconosciuta lucidamente da Enzo Bianchi – e della riduzione del cristianesimo a etica e spiritualità senza passare per la fede, percepita come superflua.»
Questo potrebbe essere il vero nocciolo della questione (e per me lo è).
Soprattutto per i giovani il problema della morte – fine della vita mortale – è problema assolutamente rimandabile. Si muore certo anche da giovani per un accidente, ma nel sentire comune – che ci mette anche al riparo dalle domande fondamentali – e un problema da “vecchi” in una società dove poi la vita media si allunga sempre di più.
Sostanzialmente “ci penserò quando sarà ora”… peccato che quell’ Ora arriva come il ladro quando meno te lo aspetti.
Quando si raggiunge un’età più adulta, sono migliaia i modi per alienarsi – anche con buonissime intenzioni – e non pensare ai “Novissimi” (Novissimi? Che roba è? Chi ne parla più? Purtroppo anche tra i nostri ministri) è facilissimo.
Ma soprattutto perché “credere”? Cosa me ne viene al di là di un ipotesi sull’Aldilà in nome della quale devo darmi tanti limiti nel vivere? (Perché è quello che si percepisce per lo più: i Comandanti, il Peccato, i Precetti, ecc. ecc.).
Ecco allora il nocciolo il problema: l’Uomo sperimenta la Morte centinaia di volte nella mia vita o per essere più precisi e comprensibili, sperimenta la CROCE!
La Sofferenza, la morte “ontologica”.
Qualche esempio? La malattia, l’insuccesso, la solitudine, il rifiuto, la paura, le dipendenze, si potrebbe continuare a lungo…
Allora forse (certamente) la Risurrezione di Cristo ha qualcosa a che fare con la mia vita, contemporanea e qui e ora, laddove nessuno ha una risposta salvifica, nessuno viene in mio soccorso! Non è solo evento in cui credere guardando ad un “futuro remoto” per quanto certo.
Ma come la Chiesa ti aiuta – mettiamo ci pure i Cristiani e non solo la Chiesa Docente – a far si che la Croce Gloriosa, divenga esperienza nella tua vita. Talvolta, neppure ti suggerisce che la strada è quella… Perché? Perché appunto siamo in una profondissima crisi di fede che non è tanto quella (è anche quella) sulla morte e risurrezione di Cristo in senso teologico ed escatologico, ma la Fede di chi sa (crede) che Cristo è Kirios, è Signore, è aiuto, è speranza, è Amore di Dio per te, è esperienza, è Vivo!
E’ Colui che ti trae fuori dalla morte ontologica, “dai lacci dello Sheol” e non con una magia, come un “parafulmine”, ma proprio dandoti la forza di passare attraverso la Morte, di non scendere dalla Croce, eppure non morirne, senza perdere lo spirito di benedizione e di fiducia (fede).
La crisi di oggi è crisi di Testimonianza, è crisi di Fede vissuta, sperimentata, che diviene Luce per le Genti. Purtroppo appare come una sorta di circolo vizioso: crisi di Fede > crisi di Testimonianza > crisi di Fede > crisi della Liturgia (e della partecipazione alla).
La risposta sta nel rimettersi in Conversione TUTTI: “che ne è della mia Fede? Si fa Testimonianza? Di cosa? Se mi chiedessero per provocazione o per sincero interesse, perché credo, quale sarebbe la mia risposta? Un insieme di raccogliticci pensieri teologico-catechetici? O io SO dove ho visto il Signore, SO dove mi ha salvato, da quale sepolcro mi ha tratto (Lazzaro vieni fuori!), quale mi schiavitù – peccato – ha sconfitto!
Vale per il Papa come per l’ultimo dei fedeli.
Allora, forse è un risposta che all’Altro può servire, anche se ha una vita diversa dalla mia, ma le stesse profonde inquietudini e la stessa profonda sofferenza: quella di non avere risposte al male e al mal di vivere.
Il resto è in mano allo Spirito Santo e al non negarsi al Suo agire, sia per chi riceve la Buona Novella, si per chi se ne fa strumento.
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Grazie davvero per questa riflessione!
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Di nulla 😉
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