Proseguo la presentazione della vicenda di Gesù facendo un salto in avanti fino all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, che troviamo raccontato al capitolo 11 del Vangelo di Marco.
1 Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. [...] 7Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 10Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».
(Mc 11,1-2.7-10)
Tutti gli elementi che troviamo in questo racconto contribuiscono a qualificare inequivocabilmente l’arrivo di Gesù a Gerusalemme come l’ingresso trionfale del Messia. Il puledro è fortemente connesso con l’attesa messianica e con il suo ingresso trionfale a Gerusalemme: lo ritroviamo in uno dei testi più famosi riferiti al Messia tratto dal libro di Zaccaria.
9Esulta grandemente, figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d'asina.
(Zc 9,9)
I mantelli stesi per la strada – usanza riservata ai re – le fronde degli alberi, il riferimento al “Regno che viene del nostro padre Davide”: sono tutti elementi che descrivono l’ingresso del Re Messia nella Città santa. I Vangeli sottolineano quindi il senso teologico dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme: si compie così l’attesa di Israele, si realizza la promessa di Dio. Il Messia è giunto! E questo nonostante i capi del popolo non lo abbiano riconosciuto.
Qual è la prima cosa che Gesù fa a Gerusalemme? Entra nel tempio e scaccia i venditori, rovesciando tavoli e sedie: non propriamente il miglior modo di presentarsi come Messia.
15Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 16e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. 17E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».18Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento.
(Mc 11,15-18)
È un episodio in cui troviamo un Gesù che si rende protagonista di un gesto senza dubbio violento, simbolicamente molto forte. Perché nel tempio erano presenti i mercanti? Perché i pellegrini che per la Pasqua salivano a Gerusalemme a offrire il sacrificio prescritto dalla legge, compravano nel mercato del tempio gli animali da sacrificare. Non erano quindi dei corpi estranei i venditori nel tempio, non siamo di fronte a un abuso, a un utilizzo improprio di un luogo sacro. Erano invece parte integrante dell’organizzazione cultuale di Israele. Capiamo allora come ciò che qui Gesù rovescia è l’intero sistema religioso ebraico dell’epoca: questo episodio ha la funzione di mostrarci ancora una volta la diversità e la novità della prospettiva di Gesù rispetto a quella della religione ufficiale di Israele. Se con l’ingresso di Gesù a Gerusalemme Dio mantiene la promessa del Messia, la realizzazione di questa promessa avviene in una modalità del tutto diversa dalle attese. È questo un filo rosso che attraversa tutto il Vangelo.
L’episodio si conclude con la rinnovata decisione dei capi del popolo di uccidere Gesù: il Messia di Dio, proprio per la sua distanza da ciò che Israele si aspettava, viene rifiutato.
L’intenzione di uccidere Gesù trova però un ostacolo: la folla, che apprezza e presta ascolto alle parole di Gesù e avrebbe potuto avere una reazione imprevedibile di fronte al suo arresto. Questa difficoltà che i capi del popolo incontrano viene ribadita all’inizio del capitolo 14, con il quale inizia il racconto della passione.
1Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. 2Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
(Mc 14,1-2)
La passione di Gesù ha come cornice la Pasqua ebraica. I capi del popolo cercano di arrestare Gesù, ma temono la rivolta del popolo. In loro aiuto viene Giuda.
10Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. 11Quelli, all'udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
(Mc 14,10-11)
Il tradimento di Giuda consiste nel portare i capi del popolo lì dove Gesù passava la notte, in disparte, così da poterlo arrestare lontano dalla folla.
Prima di venire arrestato però, la sera del giovedì, Gesù celebra la Pasqua con i suoi discepoli. La Pasqua ebraica è celebrata in famiglia nel contesto di una cena. Nel mezzo della cena però Gesù prende la parola e rovina la festa…
18Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». 19Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l'altro: «Sono forse io?». 20Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. 21Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell'uomo, dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito! Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!».
(Mc 14,18-21)
Immaginiamoci il clima di allegria che caratterizzava la celebrazione della festa più importante per la fede ebraica, d’un tratto spegnarsi e raggelarsi. “Uno di voi mi tradirà”. I discepoli si chiedono l’un l’altro a chi Gesù si stia riferendo, mentre lui rincara la dose con un giudizio pesantissimo nei confronti di Giuda. I Vangeli sono spietati con Giuda. I giudizi nei suoi confronti sono tutti di condanna senza appello. Troviamo qui l’eco del vissuto degli apostoli, che hanno sperimentato sulla propria pelle tutto ciò che il tradimento di Giuda ha provocato. Gli eventi sono ancora troppo vicini nel tempo perché anche a Giuda possa venir rivolto uno sguardo di misericordia. Sguardo che sarebbe invece del tutto coerente con la prospettiva cristiana. Ai ragazzi dico sempre questa cosa: la Chiesa nella storia ha proclamato migliaia di santi, ma non ha proclamato neanche un dannato. Neanche Giuda. Sì, c’è speranza anche per Giuda.
La cena pasquale ebraica è scandita da parole e gesti precisi, codificati, che tutte le famiglie ogni anno ripetono. Quella sera però Gesù compie un gesto che non era previsto, un gesto nuovo ed enigmatico che diventerà fondamentale per i cristiani.
22E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
(Mc 14,22-25)
Chiedo sempre ai ragazzi secondo loro che senso abbia questo gesto dentro il contesto in cui Gesù lo compie, senso che troppo spesso viene dato per scontato. Gesù è ormai consapevole che la sua fine è imminente, sa che Giuda sta per consegnarlo ai capi del popolo e che quello è certamente uno degli ultimi momenti che passerà con i suoi discepoli. Che senso ha prendere del pane, distribuirlo e dire “questo è il mio corpo”, prendere il vino, farlo passare tra i discepoli e dire “questo è il mio sangue”?
Gesù, prima di morire, cerca di spiegare ai suoi discepoli il senso di ciò che sta per accadere. Di fronte alla morte di Gesù, tutti, gli apostoli in primis, penseranno a quella fine come al suo fallimento: ha detto e fatto tante cose belle, ma poi l’hanno ucciso, gli è andata male… Attraverso il gesto dell’eucaristia Gesù cerca di spiegare ai suoi discepoli il senso autentico della sua morte: non sono loro che mi uccidono, sono io che sto donando la vita. L’eucaristia quindi anticipa e svela il vero significato della croce. La croce non è lo strumento attraverso il quale Gesù viene ucciso, è lo strumento attraverso il quale Gesù dona sé stesso completamente: il suo corpo e il suo sangue. Si comprende allora come dentro il gesto dell’eucaristia sia racchiuso quel seme che permette di comprendere nella sua autenticità il significato della morte di Gesù, come dono totale di sé nell’amore, che la fede cristiana riconosce rappresentare la più alta e definitiva manifestazione del volto di Dio. Un seme che germoglierà, verrà compreso, solo dopo la risurrezione, ma che era lì presente. Per questo i cristiani ripetono ogni domenica, ogni giorno, le parole di Gesù sul pane e sul vino, perché attraverso di esse è possibile per gli uomini di ogni tempo rivivere e comprendere nel suo significato autentico il dono totale di sé di Gesù sulla croce, leggendolo, nella fede, come la più vera manifestazione del volto di Dio: accedendo quindi al Dio amore, al Dio che è solo amore, un amore infinito che supera ogni ostacolo. Non solo: nutrendosi del pane e del vino si fa esperienza di come quel dono raggiunga ciascuno di noi. Quell’amore è rivolto a te, è per te; puoi riceverlo, può nutrire la tua vita, trasformandola a sua volta in un dono d’amore.
Terminata la cena, Gesù con i discepoli si avvia verso il monte degli Ulivi, appena fuori la città di Gerusalemme. E per la via Gesù continua a preparare i discepoli a ciò che sta per accadere.
26Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 27Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.28Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». 29Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». 30Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». 31Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.
(Mc 14,26-31).
Di fronte alle parole di Gesù Pietro se ne esce con uno di quegli slanci di cui lo abbiamo già visto protagonista a Cesarea di Filippo e sul monte della trasfigurazione. “Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!“, “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò!“. È un personaggio bellissimo Pietro. Cerca di dimostrare in tutti i modi il suo affetto, la sua fedeltà a Gesù e vorrebbe sinceramente essere all’altezza delle sue promesse. Ma Gesù conosce Pietro. Sa che il suo amore è sincero, ma fragile. Sa che non reggerà di fronte a tutto quello che sta per accadere, e glielo dice: tu mi rinnegherai. Non dobbiamo intendere queste parole di Gesù come un rimprovero, come un dito puntato sulla fragilità di Pietro. Gesù sta avvisando Pietro, gli sta dicendo: lo so che non ce la farai a rimanere con me, ma non preoccuparti. io ti conosco e ti amo così come sei. Il problema di Pietro (e nostro) è lasciarci amare senza essercelo meritato, lasciarci amare solo per quello che siamo.