Fuga e ferma decisione

Siamo esattamente a metà del Vangelo di Marco. Gesù, dopo il successo iniziale, ha dovuto far fronte all’opposizione crescente da parte dei capi del popolo e ha ormai compreso che il suo progetto sta andando definitivamente incontro al fallimento. Al capitolo 8 di Marco troviamo Gesù che, con i discepoli, lascia la Galilea e se ne va…

27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 

(Mc 8,27-28)

Cesarea di Filippo si trova all’estremo nord di Israele, al confine con il Libano e la Siria. Era una città pagana famosa per il culto del dio Pan  (il nome originario della città era Paneas): Pan era una divinità dalle forti connotazioni sessuali e i riti che si svolgevano nel tempio di Cesarea prevedevano atti sessuali che avevano come protagonisti uomini e animali. Tutto questo per sottolineare lo stupore tendente allo sconcerto che doveva attraversare chi all’epoca si fosse ritrovato a leggere un episodio della vita di Gesù ambientato a Cesarea! Cosa ci fa Gesù in un contesto del genere?

Tutti gli elementi di questo racconto indicano che Gesù sta vivendo un momento di fortissima crisi. Dopo anni di indecisione finalmente ha dato inizio alla sua missione, ha scelto con cura gli strumenti e le modalità del suo annuncio, ma il suo progetto si è scontato con l’opposizione di scribi e farisei. L’obbiettivo di essere riconosciuto da Israele come profeta e Messia è divenuto irrealizzabile e Gesù, nel tentativo di individuare una strada nuova che gli consenta di portare a compimento la sua missione – il suo desiderio di rivelare agli uomini il vero volto del Padre – ha iniziato ad intuire che l’unica possibilità che gli rimane lo porta a dover affrontare la sofferenza e la morte.

Di fronte a questa prospettiva Gesù sprofonda in una crisi fortissima. E parte, se ne và. Gesù morirà a Gerusalemme, che è a sud della Galilea. Qui prende esattamente la direzione opposta: va a nord, a Cesarea di Filippo, lontano da tutto, in una città che rappresenta ciò che di più distante c’è da tutto ciò che contraddistingue Gesù e il suo annuncio. Gesù sta scappando. Di fronte alla prospettiva della morte ha la reazione più umana possibile: la paura e il rifiuto.

Anche la domanda che Gesù pone ai suoi discepoli rivela il momento di crisi che sta vivendo: la gente chi dice che io sia? È una domanda carica di insicurezza. Chi sono io per gli altri, cosa pensano di me? Ci poniamo una domanda del genere quando siamo preoccupati di non essere capiti, di non essere apprezzati per quello che siamo. E la risposta dei discepoli conferma a Gesù il suo fallimento: “Giovanni il Battista, altri Elia, altri uno dei profeti…“: non hanno davvero capito nulla! Qui però entra in scena Pietro…

29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. 31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 

(Mc 8,29-31)

Pietro nei Vangeli ha due caratteristiche: è un uomo generoso, capace di grandi slanci, grandi exploit, ma che non è in grado di sostenere. Nei confronti di Gesù vive un affetto sincero, che vorrebbe riuscire a dimostrargli, ma si scontra costantemente con la sua fragilità e la sua incapacità di comprendere fino in fondo il maestro. Qui assistiamo a uno di questi slanci: alla domanda di Gesù, Pietro dà la risposta esatta: tu sei il Cristo! Ma poi vuole strafare…

Di fronte alla professione di fede di Pietro, Gesù trova il coraggio di condividere per la prima volta con i suoi discepoli ciò che gli attanaglia il cuore: dovrà essere consegnato e ucciso. Cerca anche di far comprendere loro come quella non sarà la fine di tutto, ma il modo attraverso il quale porterà a compimento la sua missione: è quello che l’evangelista esprime mettendo sulla bocca di Gesù l’accenno alla risurrezione. Ma non è nelle capacità dei discepoli comprendere tutto questo: la morte come piena rivelazione dell’amore di Dio è un’assurdità per la logica umana. Pietro interpreta le parole di Gesù come sfogo in un momento di scoraggiamento e, da buon amico, cerca di rincuorarlo, cerca di fargli coraggio.

32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». 

(Mc 8,32-33)

Nel Vangelo di Matteo sono esplicitate le parole che Pietro rivolge qui a Gesù: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai!” (Mt 16,22): non pensarci neanche Gesù! Pensa positivo! Tu sei il Cristo, non puoi fare questa fine! E qui Gesù reagisce in modo violento, rivolgendo a Pietro il peggiore appellativo possibile: Satana. A nessun altro Gesù rivolge questo appellativo nei Vangeli, solo a Pietro in questo episodio. Perché Gesù chiama Pietro “Satana”? Perché con le sue parole sta svolgendo per Gesù il ruolo del tentatore: Gesù è in un momento di crisi, sta scappando da quella che, ha compreso, sarà la sua sorte, ha appena trovato il coraggio di condividere tutto questo con i suoi discepoli, e Pietro lo incita a rinunciare! Rafforza la tentazione che attanaglia Gesù di sottrarsi alla morte. Pietro tenta Gesù, come Satana lo aveva tentato nel deserto. Il tentativo di Pietro di dimostrare la sua amicizia a Gesù si rivela un disastro! È una costante del vissuto di Pietro, che ritroveremo anche più avanti.

Come esce Gesù dalla crisi nella quale è sprofondato? I Vangeli esprimono l’evoluzione della crisi attraversata da Gesù attraverso un episodio enigmatico, che, ci dice Marco, avviene sei giorni dopo gli eventi di Cesarea.

2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

(Mc 9,2-8)

Che si tratti di un episodio decisivo è segnalato dalla scelta di Gesù di portare con sé solo Pietro, Giacomo e Giovanni. Nei momenti cruciali della sua vicenda Gesù si fa accompagnare da questi tre discepoli, i suoi amici più stretti; lo vedremo anche in seguito. Il racconto dell’evangelista ci mette di fronte a un evento straordinario e potentissimo. Gesù viene trasfigurato: termine di difficile interpretazione che dà però l’idea di uno svelamento, della manifestazione di qualcosa che prima era nascosto. Anche il colore bianco che domina la scena esprime la chiarezza, la limpidezza immacolata dell’esperienza che qui è descritta: non ci sono più ombre, tutto è evidente. La trasfigurazione è caratterizzata poi dal dialogo di Gesù con Mosè e con Elia, che rappresentano evidentemente le Scritture di Israele: Mosè è colui che ha dato la legge, Elia è il più grande dei profeti. Infine ricompare la medesima voce che avevamo ascoltato nell’episodio del battesimo, che ripete ancora “questi è il Figlio mio, l’amato“. Cosa vuole esprimere l’evangelista attraverso un racconto così enigmatico? Gli elementi che abbiamo messo in luce ci suggeriscono come Marco voglia qui di rappresentare il percorso che porta Gesù fuori dalla crisi che sta vivendo. Come affronta Gesù la domanda su come portare a termine la sua missione, l’indecisione di fronte a ciò che sta un po’ alla volta arrivando a comprendere, la paura davanti alla prospettiva della morte? Si affida a Mosè e Elia, alla legge e ai profeti: cerca cioè conforto e conferme confrontandosi con le Scritture, con la Parola di Dio, per giungere finalmente a una chiarezza definitiva. È questo confronto con le Scritture che aveva portato Gesù ad interpretare in modo del tutto originale il suo essere Messia – manifestato per la prima volta nel battesimo -, è questo stesso confronto che conduce Gesù a comprendere che “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno“, come troviamo esplicitato da Gesù risorto nel Vangelo di Luca (Lc 24,46). Non è un caso allora se sia nell’episodio del battesimo, che sul monte della trasfigurazione ritroviamo la stessa “voce dal cielo” che conferma Gesù nella sua scelta: sono entrambi il punto di arrivo di percorsi di discernimento decisivi per la vicenda di Gesù. Ciò che emerge è come la trasfigurazione sia il modo attraverso il quale l’evangelista ci racconta il momento fondamentale nel quale Gesù, dopo un faticoso percorso di discernimento e di confronto con le Scritture, con chiarezza e senza più dubbi, comprende il senso del proprio destino e lo accoglie.

Disceso dal monte, dopo un ultimo passaggio nella sua casa di Cafarnao (Mc 9,33), Gesù si incamminerà finalmente verso Gerusalemme, dove darà la vita. L’evangelista Luca esprime la decisione di Gesù di prendere la strada per Gerusalemme in tutta la sua drammaticità e determinazione:

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.

(Lc 9,51)

È la decisione più difficile della sua vita, per arrivarci Gesù ha attraversato il buio della crisi e dello scoraggiamento, ma una volta compresa la strada da percorrere, nel confronto con le Scritture, Gesù la sceglie con “ferma decisione”. La traduzione più letterale di questo passaggio è “Gesù indurì il suo volto incamminandosi verso Gerusalemme”: esprime ancora di più il dramma, la determinazione, la fatica della scelta di Gesù.

Per concludere notiamo la totale inadeguatezza delle parole di Pietro di fronte alla trasfigurazione. Sono parole del tutto fuori contesto, che denotano la totale incomprensione di tutto ciò a cui i discepoli stanno assistendo. È il modo attraverso il quale Marco sottolinea la solitudine di Gesù di fronte al suo destino: nessuno è in grado di comprendere quello che sta vivendo. Gesù morirà solo e abbandonato da tutti e tutti interpreteranno la sua morte come la smentita di ogni sua parola. Sarà solo dopo la risurrezione che gli apostoli capiranno ciò che appariva del tutto impensabile: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso“. (At 2,36).

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