Condivido una serie di post che ho scritto in occasione della quaresima 2021 per i portali social della Diocesi di Milano. Il tema che mi era stato chiesto di approfondire attraverso sette post, da pubblicare uno per ciascun giorno della settimana, era la conversione. Ne è uscito questo:

Primo giorno

Ciao, sono Dio 😎.
Perché mi guardi strano? Sono Dio. Sì, con la D maiuscola.
Esatto, proprio lui! Il creatore del cielo e della terra, il principio e la fine, l’onnipotente… e tutto il resto. Sono io, Dio!
Che dici? Non ti aspettavi di trovarmi qui? A dirla tutta neanch’io, ma sai, i tempi corrono… di roveti da ardere 🔥 ce n’è sempre meno, gli angeli 👼 sono passati di moda, mi sono dovuto adeguare…
Hai ragione comunque, di solito me ne sto più sulle mie… a ‘sto giro però faccio un’eccezione. C’è una cosa di cui ti vorrei parlare, sì sì, proprio a te! Una parola che, sono sicuro, appena te la dico farai un salto sulla sedia: CONVERSIONE!
Visto? No, Tranquillo – o tranquilla (sai, di solito parlo con gli angeli ed è una gran fatica per me declinare il maschile e il femminile, so che siete diventati permalosetti al riguardo ma non volermene se mi dimentico…) – non ho in mente di scatenare il diluvio 🌧️. Nemmeno di mandare cavallette 🦗, rane 🐸 o altra robaccia simile. Perché mi pensi sempre come uno che se ne sta lì a pretendere cose col fucile puntato?
CONVERSIONE non è una minaccia, CONVERSIONE è… un’occasione! Ma ti vedo un po’ stranito, hai la faccia di uno che ha bisogno di schiarirsi un po’ le idee…  “Vieni e seguimi” questa settimana su questi canali, ci sarà da convertirsi!

Secondo giorno

Ciao, sono Dio 😎.
Sì, è tutto vero, non era un’allucinazione! Se scrolli i post di questa pagina trovi ancora il mio di ieri che ti ha tanto destabilizzato…
Ricordi la parola? CONVERSIONE! Dai, non fare così, c’è di peggio sai! No, rasserenati, userò metodi meno cruenti stavolta. Nessuna caduta da cavallo 🏇, promesso! Nemmeno pensieri suicidi. Con l’Innominato 🙊 mi sono fatto prendere un po’ la mano, ma sarò più prudente con te, davvero.
Comunque sono abituato a questa diffidenza quando pronuncio la parola CONVERSIONE. È incredibile sai: finché si tratta di trovarsi insieme, scambiare quattro chiacchere, una bella messa concelebrata per il clero, un bel rosario con gli anziani 👵🏻, un bel raduno per i ragazzi, un bell’aperitivo 🥂 con gli adulti – in oratorio o via Zoom non fa grande differenza – c’è il pienone! Ma appena pronuncio quelle undici lettere fatidiche o qualcosa di simile, VIA, si dileguano tutti!
Ovviamente lo so che è una facciata, che la maggior parte della gente, anche se apparentemente fugge la CONVERSIONE come la peste 😱, dentro di sé ci lavora su mica male. Lo so perché – ma non dirlo in giro – sono io che supervisiono il cantiere. È come un motore sai, ce l’hai dentro e gira, gira, gira … anche mentre dormi… Prende sogni, lacrime, parole… impasta tutto insieme… è il motore della CONVERSIONE!
Beh, che fai ora? Smetti di guardarmi inebetito. Piuttosto, dì un po’: com’è messo il tuo motore?

Terzo giorno

Ciao, sono Dio 😎 e ti chiederei una cortesia…
BASTA PER FAVORE! 🙏
Lo so, hai ragione, sono stato io ieri a chiederti di parlarmi di te, ma con questo non intendevo spronarti a riversarmi addosso tutti i mali della tua vita 😱 (che peraltro – essendo onnisciente – già conosco discretamente bene, non credi?).
Invece niente, sei partito in quarta a raccontarmi tutti i tuoi problemi insormontabili, tutte le cose che vorresti convertire ma proprio non riesci (qui peraltro c’è una precisazione da fare ☝️: stiamo parlando della TUA CONVERSIONE, non di quella di tuo marito, tua suocera, tuo figlio, tuo cugino, tua sorella, tua nonna… ci siamo capiti?)… e le ferite che ti porti dietro… e le persone sbagliate… le scelte affrettate… gli errori che hai fatto… i torti che hai subito… le situazioni che non hai scelto e ti sono capitate addosso…
Posso dirtelo? A volte sopravvaluti le mie pretese. Chi ti ha messo in testa l’idea che quando dico CONVERSIONE pretenda che tu risolva tutti i casini della tua vita? CONVERSIONE è una cosa molto più semplice: è… cambiare occhiali 🕶️.
Vieni qui, tieni, prova questi. Che, non ti piace la montatura? Suvvia, metti su e guarda un momento…
Ecco qua, questa è CONVERSIONE: vedi? La tua vita è sempre un casino, ma è un casino amato.

Quarto giorno

Ciao, sono ancora Dio 😎.
Pensavi di esserti liberato di me? E no, non è finita qui! Gli occhiali… scoprire che la tua vita è amata con tutti i suoi casini – sì, anche quello lì! – è solo il primo passo.
La questione è molto semplice, meccanica direi. Nel motore della CONVERSIONE quell’amore che hai scoperto funziona da combustibile 🛢️. Tanto più amore c’è, tanto più il motore gira. Il problema è quando invece dell’amore nel serbatoio ci metti altro, allora il motore grippa, singhiozza, si inceppa, si impianta e tu resti fermo 😭. Questo è importante: controllare bene il carburante che usi! Ma se vai di amore, puro, senza scorie, il motore gira e gira e gira, fino a che a te viene voglia di… – sei pronto? Tieniti forte… aggrappati alla sedia 🪑… assicurati di essere solo perché potresti per qualche istante non rispondere di te… – …CAMBIARE! No, non cambiare occhiali, cambiare tu!
Ehi… Ci sei ancora…? C’è qualcuno in linea…? Mi sembra di essere in DAD💻 … Ah, rieccoti! Tranquillo, no, no, va bene, oggi non infierisco oltre, promesso! Lo so, l’unico cambiamento che vorresti fare in questo momento è cambiare Dio, ma non è un problema, davvero…  
Sai che ti dico? Hai bisogno di CAMBIARE la tua idea di CAMBIARE!

Quinto giorno

Ciao, sono Dio 😎.
Ehi… ehi… guarda che ti ho visto, è inutile che ti nascondi… Dai, vieni qui… Lo so, quella parola che ti ho detto ieri ti ha traumatizzato, ma tranquillo, no, non la ripeto… d’accordo… senz’altro… promesso 🤞 …
CAMBIARE!
Ah 🤣🤣 … No, dai, torna qui! Non fare così… scherzavo… Vieni, siediti un attimo… lascia che ti spieghi…
Sai perché CAMBIARE ti provoca così tanta repulsione? Perché tu hai in mente me che dico: “Convertiti!”, “Cambia!”, “Smetti di fare quello!”, “Inizia a fare quest’altro!”. Oppure non me, qualcun altro: i tuoi genitori se sei giovane, tuo marito, tua moglie, il tuo capo se sei adulto, i tuoi figli se sei anziano, il tuo don se sei catechista, il tuo vescovo se sei prete, la superiora se sei suora… La solfa è sempre quella: qualcuno pretende che tu cambi e a te questa cosa fa salire la bile 😤.
C’è una buona notizia: puoi non dar retta a nessuno di loro! Perché CONVERSIONE non significa cambiare perché te lo dice qualcuno, nemmeno quando sei tu quel qualcuno. CONVERSIONE è un motore che non funziona a comando, funziona ad amore. CONVERSIONE è quando a spingerti a cambiare è soltanto voler amare. Quando dentro di te percepisci il desiderio, l’esigenza di rispondere con l’amore all’amore.

Sesto giorno

Ciao, anche oggi un buon giorno da Dio 😎! (Ehi, niente doppi sensi! Guarda che vedo quello che pensi!).
Sì, dimmi pure, ti rispondo… Oh, vedo che cominciamo ad ingranare! Inizi a farmi domande sensate 🔝!
Beh, ovvio, l’amore per il motore della CONVERSIONE lo trovi al distributore ⛽! Ce n’è diversi sai… Ci sono le persone che ti vogliono bene: sono delle stazioni di servizio pazzesche quando sei in riserva. E poi succede una cosa unica da loro: ti ritrovi ad essere insieme serbatoio da riempire e distributore.
Il benzinaio più vicino però è la preghiera. Beh? Perché fai quella faccia? No, ma che dici? Chi ti ha messo in testa ‘sta cosa? Quello non è pregare! Pregare è fare il pieno di amore! È… come fumare 🚬! Che? Non fumi? Vabbè, conoscerai un fumatore… Le prime volte tossisci e ti dici: che è ‘sta roba? Non lo rifarò per niente al mondo! Poi ci ricaschi, una, due, tre volte… e a un certo punto ci prendi gusto… finché arriva il momento che non riesci più a farne a meno, perché hai bisogno di avere in circolo la tua dose quotidiana di amore.
Capita a volte però che il motore della CONVERSIONE non giri bene, sia un po’ ingolfato… se succede quello che ti serve è un buon meccanico! Ce n’è tanti di bravi, sai, spesso nascosti: uomini, donne, preti, suore, scegli tu! No, può essere anche un non fumatore 🚭. L’importante è che sia esperto di questo motore.

Settimo giorno

Ciao, sono Dio 😎 e questo è l’ultimo post che ti scrivo.
No, è inutile che insisti, un post al giorno per sette giorni è più che sufficiente! Ho lavorato più a ‘sto giro di quando ho creato il mondo, lì in sei giorni me l’ero cavata 😅 …
Il mio intento era parlarti di CONVERSIONE, ma come al solito sono riuscito a parlare soltanto di amore. È un mio limite sai… Qualsiasi cosa ho in mente di fare alla fine riesco solo ad amare…
Ah, mi hai beccato 🤭! È proprio così! CONVERSIONE vuol dire diventare anche tu, come me, capace solo di amore. No, non devi preoccuparti se non ci riesci sempre sempre… Lo so che sei uomo, di Dio – modestamente – ce n’è uno solo 😎. L’importante è che ogni volta riaccendi il motore e ti rimetti in pista. È anche una questione di allenamento, sai? Man mano che ingrani senti l’amore scorrere e se vai avanti ti inizia a travolgere, come un fiume in piena… lo vedi abbattere muri, steccati… tramutare ogni volta situazioni in occasioni… cambiarti cuore, mente, sguardo… dove c’era indifferenza ora c’è attenzione e cura, dove c’era superficialità ora c’è consapevolezza, dove c’era egoismo ora c’è condivisione, dove c’erano voragini ora ci sono ponti, dove c’erano macerie ora ci sono ponteggi, dove c’era amarezza ora ci sono lacrime belle… è il motore che gira!
Prima di salutarti ho però da chiederti un favore personale 🙏: faresti un po’ di pubblicità in giro al mio amore? Te ne sarei grato, anche questo è un modo di amare. Se lo farai però, presta attenzione! Per andare a segno anche il tuo parlare di me potrebbe aver bisogno di CONVERSIONE!
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Crederesti in Dio se il Paradiso non ci fosse?

Mi ha fatto riflettere la provocazione iniziale con cui Daniele Gianolla apre il suo articolo, su questo blog, a commento dell’ultimo lungometraggio Disney, Soul, ossia la domanda: “Se il Paradiso non esistesse voi credereste ancora in Dio?”. Credo sia una di quelle domande capaci di fare chiarezza. Chiarezza sulla fisionomia della nostra fede e della nostra relazione con Dio.

Vi è un certo modo di pensare al cristianesimo tutto centrato sull’aldilà. Si pensa cioè alla vita cristiana come una preparazione, un esame, in vista di ciò che verrà dopo, in vista di un giudizio che decreterà se ci siamo meritati il Paradiso o meno. Per quanto la teologia insista sulla dimensione gratuita della salvezza, quindi sganciata dalla mera logica del merito, nel sentire comune, tra i non addetti ai lavori potremmo dire, è ancora questa l’idea normalmente più diffusa: essere cristiani significa obbedire a Dio, rinunciando a sé stessi per fare la sua volontà, affinché dopo la morte ci accolga nel suo regno.

Per capire se anche noi pensiamo alla vita cristiana sostanzialmente in questi termini è sufficiente fare questo piccolo test: provate a pensare al personaggio peggiore che vi viene in mente, immaginate che nonostante tutto quello che ha compiuto, in punto di morte si converta, chieda perdono e, come da catechismo cristallino, ottenga la salvezza: che reazione avete? (Quella istintiva, non quella ossequiosa!).

Se vi sale un moto di rabbia nei confronti di un Dio così ingiusto (“io ho rinunciato a così tante cose per poter guadagnare il Paradiso e questo che ne ha fatte di tutti i colori viene trattato come me?”) potreste essere ottimi amici del fratello maggiore della famosa parabola, quello che non vuole entrare a far festa per il ritorno del fratello minore. Il problema di questo fratello – cui spesso ci sentiamo così solidali – non è tanto non riuscire a perdonare e non accettare l’illogico amore del Padre, ma è ritenere che il suo rimaner fedele non abbia valore in sé, ma solo in vista di una futura ricompensa. Il fratello maggiore pensa alla relazione col Padre come obbedienza finalizzata a un guadagno (“io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici” Lc 15,29). Se non ci fosse ricompensa, oppure se la ricompensa per la quale ho tanto faticato la ottiene anche chi non ha fatto nulla, che senso ha tutto questo impegno?

Da questa obiezione – che, per intenderci, non ha niente di insensato – se ne esce solo cambiando prospettiva. Finché continueremo a pensare alla vita cristiana come un sacrificio, una vita di rinunce, di abnegazione, continueremo a invidiare chi si gode la vita, e se ci verrà detto che ha ottenuto la nostra stessa ricompensa, proveremo questa ineccepibile sensazione di ingiustizia. Cambiare prospettiva significa due cose: smettere di avere come obiettivo (solo) la ricompensa finale e riconoscere che la vita cristiana per sé stessa – anche se il paradiso non ci fosse – varrebbe la pena lo stesso di essere vissuta.

La vita cristiana è la possibilità di vivere ogni momento, ogni situazione non da soli ma nell’abbraccio di Dio. È l’opportunità di vivere non per sé ma per gli altri, non perché così ci guadagni qualcosa domani, ma perché sperimenti che quello è il modo più bello di stare al mondo. È la possibilità di vivere rifiutando tutto ciò che degrada e rende schiava la vita, non per obbedienza coatta ad un comando, ma per il gusto di essere liberi e rendere liberi. La vita cristiana è anzitutto per l’oggi, per il qui e ora. Così come lo è la vocazione. Quando si parla di vocazioni (alla vita religiosa, ma anche al matrimonio) troppe volte si sottolinea la dimensione di rinuncia rispetto a quella della bellezza. Chi sceglie una vocazione con autenticità non lo fa sottomettendosi al volere di un Dio che chiede obbedienza, ma perché ha scoperto che non c’è niente di meglio per la propria vita che vivere così. E dentro lì i vincoli – quelli che all’esterno appaiono rinunce – non sono vissuti come ostacoli, ma come ciò che permette di vivere davvero in pienezza.

È solo in questa prospettiva che appare comprensibile, non ingiusto, un Dio che accoglie chi si pente all’ultimo secondo: se crediamo davvero che una vita senza Dio – e, più difficile, senza Chiesa – non è un guadagno ma una perdita. Che il male non è un’opportunità che Dio ci vuole negare, ma un limite a una vita piena. Che la vita cristiana vale la pena di essere vissuta per sé stessa, così com’è, anche se il Paradiso non ci fosse. Certo che speriamo e crediamo nella vita eterna, ma forse la vita cristiana è genuina quando a muoverci non è anzitutto la promessa per il dopo, ma la consapevolezza del centuplo che abbiamo già qui e ora. Quello di cui abbiamo più bisogno è di gente capace di darne testimonianza.

Il mattino di Pasqua dopo il Covid19, tra cocci e sogni

Tornerà tutto come sempre o niente sarà più come prima? Sono domande che ci facciamo tutti in questo tempo di vita chiusa in casa, ingabbiata, come disse Papa Francesco all’inizio della pandemia.

Certo le conseguenze di questi mesi di distanza e videochiamata lasceranno segni indelebili. Penso soprattutto alle famiglie colpite dalla malattia, dal lutto, dall’incertezza lavorativa, famigliare e personale. Alle persone sole, rimaste isolate per così tanto tempo, agli anziani, ma anche ai ragazzi, privati del contatto fondamentale con gli amici, della vicinanza fisica, reale, di insegnanti ed educatori, che nessuna lezione a distanza potrà mai sostituire nella loro presenza educativa – e non solo istruttiva – fatta di sguardi, gesti, attenzioni…

Tutto questo lascerà in noi scorie e cocci, che con sapienza ci sarà chiesto di prendere in mano e provare a ricomporre. Saremo chiamati probabilmente per diverso tempo a rispettare norme igienico-sanitarie che contribuiranno a modificare ulteriormente le nostre abitudini e il nostro stile di vita. Ma se provo a pensare al domani, vorrei davvero non fosse solo questo. Non fosse cioè solamente un raccogliere cocci e rispettare nuove regole. A queste componenti, che senz’altro vivremo, sogno se ne aggiunga un’altra…

Il tempo che stiamo vivendo, alla luce della Settimana Santa da poco vissuta, mi appare molto pasquale. Sia in senso etimologico – è un tempo di passaggio – sia facendo riferimento alle vicende bibliche che la Pasqua ebraica e quella cristiana rievocano. In tanti hanno messo in luce la similitudine tra il nostro tempo e quello di Israele nel deserto, quello dei discepoli, chiusi in casa per la paura. Stretti tra un passato rimpianto – “Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla” (Nm 11,5-6) – e un futuro ancora indecifrabile – “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute” (Lc 24,21).

Ma il tempo del deserto, lo sappiamo, non è solo un tempo di aridità e privazione. Biblicamente è un momento di intimità, con sé e con Dio, nel quale siamo ricondotti all’essenziale e maturano i sentimenti più veri, i desideri più profondi, le scelte più feconde.

Sono tantissime le provocazioni che questa quarantena offre alla nostra vita, alla riflessione sul senso di quello che viviamo, sulle nostre abitudini e su cosa vi dia realmente significato; alcune cose oggi ci appaiono con una chiarezza inaudita. Il valore del lavoro, delle relazioni, l’insufficienza del web come strumento per viverle, la consapevolezza di essere “tutti sulla stessa barca”, non delle monadi autosufficienti, ma parte di un popolo, di un mondo, in cui quello che io vivo appartiene anche all’altro e quello che io faccio riguarda tutti. Tantissime dinamiche delle nostre società a cui eravamo assuefatti, emergono in tutta la loro contraddittorietà: un capitalismo presentato come panacea di tutti i mali che si mostra insufficiente e inadeguato – se non di ostacolo – alla sfida della pandemia; lo stridore del confronto tra gli investimenti in armamenti e quelli per la spesa sanitaria; città simbolo di efficienza e modernità che annaspano e rischiano il collasso; una politica fatta, con le dovute eccezioni, da VIP improvvisati che non sanno come barcamenarsi, stretti tra la volontà di preservare il consenso e la necessità di applicare misure che la competenza di altri suggerisce. Per non parlare delle enormi provocazioni che la sospensione delle Messe, la loro sostituzione con lo streaming senza popolo, lo spostamento del luogo ecclesiale nel contesto famigliare, e mille altre cose, pongono alla vita della Chiesa e al suo futuro.

Quello che sogno è che di queste evidenze di oggi, domani possiamo fare tesoro. Quando potremo, impegniamoci a creare luoghi e momenti per incontrarci, ascoltarci e raccontarci, affinché, con discernimento, possiamo abbandonare rivalità e contrapposizioni e raccogliere insieme la novità – la manna nel deserto, il sepolcro vuoto il mattino di Pasqua – che questo tempo ci consegna. E deciderci a desiderare uniti un mondo nuovo, una Chiesa nuova, relazioni nuove – la Terra Promessa, l’incontro col Risorto, che dà la forza di partire senza indugio. Che il domani non sia un oscillare tra la nostalgia di ieri e i cocci di oggi, ma possa essere soprattutto un desiderio da realizzare insieme. Se così sarà, constatare che “Niente è più come prima!” non sarà solamente un rimpianto.

Dov’è Dio nel tempo del Coronavirus?

In questo tempo di Coronavirus, come ogni volta che la nostra umanità è toccata dalla prova, dal dolore, dalla sofferenza, chi crede, e a suo modo anche chi non crede, sente potente emergere la domanda: dov’è Dio? Perché non fa nulla se è onnipotente? Perché ci ha abbandonati a questo destino?

Non manca chi, provando a rispondere, si affretta a parlare di castigo divino, come conseguenza dell’indifferenza e dei peccati dell’uomo. Immaginando dunque un dio che assume i tratti del mitico Zeus, che dall’alto dell’Olimpo scaglia i suoi fulmini nella sua ira.

Effettivamente se si va a leggere determinate pagine dell’Antico Testamento parrebbe proprio che anche il Dio cristiano si comporti in questo modo. C’è però un’immagine nella Bibbia che fa a pugni con tutto questo, un’immagine di fronte alla quale ogni idea di un Dio che punisce e castiga crolla inesorabilmente: è l’immagine di Gesù sulla croce. Un Dio crocifisso, massacrato di botte senza nemmeno alzare un dito per difendersi. Come può essere quello Dio onnipotente? È la domanda che sconfigge la fede anche di chi aveva seguito Gesù lungo tutto il suo percorso. Non possono far altro che andarsene “col volto triste”, dicendosi “Speravamo che fosse lui a liberare Israele…”, ma ora è tutto finito.

Un po’ come noi, che speravamo tante cose, avevamo progetti, lavori, sogni per questo periodo, e ora ci troviamo confinati, senza certezze, costretti in casa senza sapere quando tutto questo finirà.

Dov’è Dio? Trovo interessante che questa domanda si espressa in forma spaziale. Ci si domanda il luogo in cui sia Dio, dando per scontato che, siccome qui non si intravede per nulla la sua presenza onnipotente, sia senz’altro altrove. È curioso: quando ragioniamo su Dio subito pensiamo alla sua onnipotenza. Forse perché è la caratteristica che più lo distingue da noi, la cosa che più ci piacerebbe provare se mai ci capitasse di diventare Dio (andatevi a rivedere in questo tempo a casa “Una settimana da Dio” con Jim Carrey, meraviglioso da questo punto di vista!). Il punto è che per noi cristiani è piuttosto complicato capire cosa significhi che Dio è onnipotente. Fai la prova: guarda un crocifisso e, come faceva don Camillo, prova a parlarci, e digli: “Come sei onnipotente Dio mio! Vorrei proprio essere come te!”. Stride tutto! Non torna nulla di quello che abbiamo in mente! Il crocifisso è esattamente il contrario dell’onnipotenza e di tutto ciò che noi aspiriamo ad essere.

Per fortuna c’è un modo più semplice di pensare al Dio di Gesù, che proprio la domanda “dov’è Dio” può aiutarci a risvegliare. La teologia, tra gli attributi di Dio, insieme all’onnipotenza, all’onniscienza, ecc… ci consegna anche quello dell’onnipresenza. Dio che è sempre presente, in ogni luogo, in ogni situazione. Apparentemente ci è più difficile pensare a un Dio onnipresente che a un Dio onnipotente, ma se andiamo più in profondità ci rendiamo conto del contrario.

Dov’è Dio? Perché non fa nulla se è onnipotente? Perché ci ha abbandonati a questo destino?

Il Dio di Gesù è il Dio che ha usato la sua onnipotenza per poter essere presente in ogni situazione umana. Quel Dio crocifisso è l’immagine di ogni sofferenza umana. Dio ha voluto entrarci nella nostra sofferenza, per poterci essere accanto in ogni situazione. Dov’è Dio? Credere nel Dio di Gesù ti consegna la certezza che Dio è lì con te, ieri, oggi e sempre. È nei reparti di terapia intensiva, è accanto alle file di bare ammonticchiate, è dietro ogni lacrima che ti riga il viso. Ed è lì non solo per consolarti, ma per dirti che quel male, quel dolore, quella morte non sono l’ultima parola sulla tua vita. Per dirti che lui ci è passato, sa che dopo il buio c’è ancora luce, dopo il tempo del sepolcro c’è il tempo della resurrezione.

Questa fede in un Dio onnipresente, ci svela allora anche il senso di Dio onnipotente. Onnipotente nel vincere la notte, vincere le tenebre e il buio. Non vengono da Dio il dolore e la sofferenza, noi veniamo da Dio invece, per questo quelli saranno sconfitti e noi vivremo. La fede in Gesù ci dice che al di là e in tutto quello che stiamo vivendo c’è ancora una promessa. Ci garantisce che è proprio vero che #celafaremo! Perché il Crocifisso Risorto è con noi, ci accompagna nella notte per condurci a un nuovo giorno di luce.

#PrayforParis: ma pregare è ancora possibile?

#PrayforParis è uno degli hashtag con i quali in tantissimi abbiamo immediatamente reagito alla violenza di Parigi. Anche io non ho avuto difficoltà a twittatare e postare così. I problemi sono arrivati dopo. Quando ho dovuto mettere in pratica quell’hashtag. Sì, perché più che di pregare mi veniva voglia di urlare. Urlare di rabbia, urlare l’incredulità e lo sgomento, scrivere post di fuoco, prendermela con qualcuno… Ma ormai avevo twittato e mi sono imposto coerenza. Mi sono raccolto in silenzio e ci ho provato.

In quel silenzio pregare mi pareva un’assurdità, qualcosa di non più possibile Continua a leggere “#PrayforParis: ma pregare è ancora possibile?”