Introduzione al Nuovo Testamento

OBBIETTIVI: conoscere le caratteristiche fondamentali dei testi del Nuovo Testamento, il percorso che ha portato alla definizione del Canone, i testi apocrifi.

TIPOLOGIA DI LEZIONE: lezione frontale con l’ausilio di slide e commento ai testi.

TEMPO DEDICATO: 7/8 lezioni

VALUTAZIONE: al termine del modulo verrà somministrata una verifica scritta.

SVOLGIMENTO DELLE LEZIONI:

Per introdurre il Nuovo Testamento utilizzo alcune slide che ho preparato (scaricabili da qui). Qui di seguito riporto i contenuti a commento di ciascuna. Approfondisco le slide attraverso la lettura e il commento di alcuni passaggi dei testi neotestamentari e degli scritti apocrifi.

Parto sempre dai ragazzi, chiedendo loro cosa conoscono del Nuovo Testamento, quali diversi testi troviamo, che caratteristiche hanno… Un brainstorming iniziale per introdurre il tema e rendermi conto del punto di partenza della classe.
In questa slide sono riportati tutti i ventisette libri del Nuovo Testamento, suddivisi nei sottogruppi che vengono normalmente utilizzati per distinguerli. Primo sottogruppo è costituito dai quattro Vangeli, che, come abbiamo visto, sono testi che presentano delle caratteristiche uniche. Il gruppo più numeroso di testi che troviamo nel NT sono le lettere, normalmente suddivise tra le “lettere di Paolo” e le “lettere cattoliche”, scritte cioè da autori diversi da Paolo. Fanno storia a sé, avendo, come vedremo, caratteristiche specifiche, gli Atti degli apostoli e l’Apocalisse.
La cartina indica la progressiva diffusione del cristianesimo in Asia minore ed Europa. Chiedo ai ragazzi di riflettere, a partire dalla cartina, su quali possano essere i testi più antichi che troviamo nel Nuovo Testamento. I testi più antichi sono le lettere, utilizzate dagli apostoli per tenere i contatti con le comunità cristiane che avevano fondato.
In questa slide i testi del Nuovo Testamento sono messi in ordine cronologico, dal più antico – quello scritto prima – al più recente. Gli studiosi sono concordi nell’indicare le due lettere ai Tessalonicesi come i testi più antichi del NT. I testi più recenti sono invece quelli appartenenti al cosiddetto “corpus giovanneo”, ossia i testi che fanno riferimento all’evangelista Giovanni e alla sua scuola: Il Vangelo, le tre lettere e l’Apocalisse.
Questa slide sintetizza le caratteristiche principali dei testi del Nuovo Testamento. Il motivo per il quale sono scritti in greco (non in ebraico/aramaico, la lingua madre della maggior parte degli autori neotestamentari, non in latino, la lingua ufficiale dell’Impero romano) è che il greco all’epoca aveva la stessa funzione che ha per noi l’inglese: era la lingua utilizzata per comprendersi tra popolazioni di lingua diversa, rappresentava la lingua trasversalmente più conosciuta e per questo ideale se si voleva raggiungere con i propri scritti popolazioni diverse. Nel NT troviamo sostanzialmente tre generi letterari: il genere epistolare, il più diffuso; il genere “vangelo”, nel quale possiamo far rientrare anche gli Atti degli apostoli; il genere apocalittico che troviamo nel libro dell’Apocalisse.
Come sono arrivati a noi i testi del Nuovo Testamento? Chiaramente non abbiamo gli originali scritti dagli apostoli. I manoscritti che abbiamo sono delle copie. È facile distinguere i manoscritti più antichi dai più recenti: fino al V secolo sono scritti su papiro; nel V secolo viene inventata la pergamena, che è utilizzata tra il V e il XII per la trascrizione dei testi del NT.
Solo per dare la percezione ai ragazzi di cosa si intenda parlando delle più antiche testimonianze testuali che ci sono pervenute del Nuovo Testamento, ho riportato in questa slide l’elenco degli otto papiri più antichi esistenti che riportano passi del NT. Come si vede nella colonna centrale, si tratta per lo più di frammenti con poche righe di testo. Conosciamo i testi del NT nella loro completezza grazie a copie molto più recenti.
In questa slide sintetizzo il contesto storico nel quale viene scritto il Nuovo Testamento. Siamo all’inizio della fase imperiale romana. Augusto, primo imperatore, muore nel 14 d.C.. Gli succede Tiberio che è l’imperatore sotto il quale Gesù trascorrerà la maggior parte della sua vita e morirà. Per tutto il I secolo l’impero è in fase di espansione. All’inizio del secondo secolo, con Traiano, raggiungerà la sua massima estensione territoriale.
La cartina raffigura l’impero romano alla sua massima espansione, nel 117 d.C..
Il primo testo che troviamo nel Nuovo Testamento dopo il Vangeli è gli Atti degli apostoli. L’autore di Atti è lo stesso del Vangelo di Luca: Atti è la seconda parte dell’opera del terzo evangelista. L’ordine attuale dei testi del NT nella Bibbia, che dopo il Vangelo di Luca colloca il Vangelo di Giovanni, ha spezzato la contiguità originaria di Luca e Atti. Il racconto riprende da dove si era concluso il Vangelo, narrando alcune apparizioni di Gesù risorto e l’episodio dell’ascensione; si conclude con l’arrivo di Paolo a Roma, al termine del cosiddetto “viaggio della prigionia”: Paolo arriva a Roma in catene per essere giudicato dall’Imperatore, dopo essersi appellato alla sua autorità, in quanto cittadino romano. A prima vista il racconto appare come troncato, senza un finale: non si dice cosa accade a Paolo una volta giunto a Roma: il martirio di Paolo non è raccontato. Il senso di questo finale si può comprendere cogliendone il valore simbolico: con l’arrivo di Paolo a Roma, il Vangelo ha raggiungo il cuore dell’Impero, il “centro del mondo”. Metaforicamente il racconto si conclude con il Vangelo che è ormai diffuso in tutto il mondo. Del racconto di Atti propongo normalmente in classe la lettura di alcuni passaggi fondamentali. Il primo è il racconto della Pentecoste.
1 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». 

(At 2,1-11)

Il racconto della Pentecoste i ragazzi normalmente lo conoscono. È infatti il brano di riferimento del catechismo in preparazione della Cresima, che quasi tutti i ragazzi che incontro hanno ricevuto. La Cresima è il sacramento che la Chiesa propone per far vivere ai cristiani ciò che gli apostoli hanno sperimentato con la Pentecoste. È anche l’ultimo sacramento dell’iniziazione cristiana: ricevendolo si diventa “cristiani adulti”. Questo è esattamente ciò che avviene ai discepoli nella Pentecoste: fino a questo momento, pur avendo incontrato Gesù risorto, sono rimasti chiusi in casa troppo impauriti per parlare di lui a qualcuno. Da qui in avanti percorreranno le strade del mondo annunciando il Vangelo. Cosa permette questa svolta? L’essere riempiti di Spirito Santo. Il racconto ce lo descrive come un evento potente e improvviso: troviamo eco di quella potenza di cui abbiamo detto parlando della risurrezione. Risurrezione e Pentecoste sono strettamente legati. Potremmo dire che con la Pentecoste giunge a piena maturazione tutto ciò che la risurrezione aveva cominciato: la risurrezione permette ai discepoli di comprendere che Gesù è vivo anche se non è più qui tra noi come prima; questa assenza, questo vuoto, è colmato dallo Spirito Santo che d’ora in avanti abita dentro di noi. Gesù è presente in noi attraverso lo Spirito. Ciò che Gesù ha fatto nella sua vita ora sono i cristiani a portarlo avanti, perché riempiti Spirito di Cristo che li guida: siamo noi ora Gesù che agisce. Il dono dello Spirito nel racconto di Atti ha però una connotazione precisa: ciò che provoca è la capacità di esprimersi in tutte le lingue. La sottolineatura dello stupore di chi sente gli apostoli parlare la propria lingua, l’indicazione precisa della loro provenienza, non fanno altro che rimarcare questo aspetto. Il dono della Pentecoste nel racconto di Atti è finalizzato all’annuncio del Vangelo a tutte le genti. È la scintilla che avvia il motore dell’evangelizzazione. È il vero inizio di ciò che l’autore racconterà lungo tutto il libro.

Subito dopo il racconto della Pentecoste l’autore di Atti ci presenta un ritratto della comunità cristiana, ormai riempita dal dono dello Spirito.

42Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere43Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune45vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, 47lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati. 

(At 2,42-27)

Cosa contraddistingue il modo di vivere dei discepoli di Gesù nel momento in cui si apprestano ad iniziare l’opera di evangelizzazione? Anzitutto l’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, la comunione, ossia l’unità profonda della comunità, la preghiera e l’eucaristia. In secondo luogo viene sottolineata la condivisione dei beni: tutto è messo in comune così che nessuno sia nel bisogno; interessante come uno degli elementi di cui si preoccupano i primi cristiani sia la giustizia nella distribuzione della ricchezza, a dire come la fede, quella autentica, vada a toccare tutti gli aspetti della vita, anche i più concreti. Infine, cosa che può stupire, si dice che i cristiani frequentano ancora il tempio: ma come, il tempio non è degli ebrei? Perché i cristiani continuano ad andarci? Il cristianesimo delle origini non si pensa ancora come una religione diversa rispetto all’ebraismo. Tutti i primi cristiani, come lo stesso Gesù, erano ebrei, avevano frequentato il tempio per tutta la vita e anche adesso continuano a vivere in continuità con la fede di Israele. Sarà solo quando il cristianesimo inizierà ad uscire dai confini di Israele che assumerà una fisionomia ormai slegata dalla religione ebraica. Da notare come la comunità cristiana descritta in questo testo di Atti sia senza ombre, senza conflitti, tutti sono concordi: una situazione a ben vedere piuttosto inverosimile. Quella che ci viene presentata è una comunità cristiana perfetta, che probabilmente non è mai esistita. È la rappresentazione della comunità cristiana ideale che l’autore di Atti degli apostoli propone come modello di riferimento per le comunità cristiane di ogni tempo.

Proseguo la presentazione del testo di Atti soffermandomi sulla figura di Stefano. Stefano è uno dei sette discepoli che vengono scelti dagli apostoli come diaconi (At 6). I diaconi erano coloro che nella comunità si occupavano dell’assistenza ai più bisognosi. L’importanza della figura di Stefano è però legata al suo martirio: Stefano è infatti il primo discepolo di Gesù a morire per la sua fede, è il primo martire cristiano.

6,8Stefano intanto, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo. 9Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell'Asia, si alzarono a discutere con Stefano, 10ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. 11Allora istigarono alcuni perché dicessero: «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro Mosè e contro Dio». 12E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio13Presentarono quindi falsi testimoni, che dissero: «Costui non fa che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge. 14Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato». [...]
7,55Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio 56e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». 57Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, 58lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo59E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». 60Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì. 

(At 6,8-14.7,55-60)

La descrizione del martirio di Stefano è raccontata dall’autore di Atti in modo da ricalcare la passione di Gesù: la folla istigata, il processo davanti al sinedrio, i falsi testimoni, le richieste a Dio di accogliere il suo spirito e di non imputare il peccato ai suoi uccisori, sono tutti elementi che riprendono ciò che Gesù ha vissuto: per Atti la morte di Stefano è Gesù che muore. Emerge la stretta connessione che il racconto di Atti mette in luce tra Gesù e i cristiani: i cristiani, ormai riempiti dello Spirito di Cristo, sono una cosa sola con Gesù, vivono guidati dallo stesso amore, dalla stessa fiducia nel Padre. Non c’è più distinzione tra il Maestro e il discepolo. È questo uno dei tratti più profondi dell’esperienza cristiana: essere cristiani significa diventare come Cristo, pensare come lui, amare come lui, agire come lui. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” scriverà Paolo nella lettera ai Filippesi (Fil 2,5).

Nel racconto del martirio di Stefano troviamo un dettaglio quasi insignificante che viene però sottolineato: coloro che lapidano Stefano appoggiano i loro mantelli ai piedi di un giovane, di nome Saulo che, troppo piccolo per partecipare alla lapidazione, si occupa di reggere i mantelli. È il primo accenno che gli Atti degli apostoli fanno a colui che diventerà uno dei pilastri del cristianesimo delle origini: l’apostolo Paolo.

Paolo è una delle figure più determinanti per il cristianesimo delle origini. Se Pietro rappresenta il punto di riferimento della prima comunità cristiana, Paolo sarà colui che più di chiunque altro contribuirà a diffondere il cristianesimo nel mondo. Paolo nasce a Tarso, nell’attuale Turchia, tra il 5 e il 10 d.C., da una famiglia ebrea, che di professione fabbricava tende. I suoi genitori si erano talmente arricchiti vendendo tende all’esercito romano da potersi permettere di acquistare per sé e per i propri figli la cittadinanza romana. Paolo quindi, pur essendo ebreo, era cittadino romano. Molto giovane si trasferì a Gerusalemme, dove frequentò una delle più prestigiose scuole religiose dell’epoca, abbracciando il particolare modo di leggere e interpretare la legge di Israele tipico dei farisei, uno dei gruppi religiosi più influenti nell’ebraismo del tempo. Con il diffondersi del cristianesimo divenne tra i i più feroci oppositori dei discepoli di Gesù, perseguitandoli e contribuendo alla loro cattura. Dopo aver fatto piazza pulita di tutti i cristiani a Gerusalemme (At 8), si fa dare dal Sommo sacerdote l’autorizzazione per arrestare i cristiani che si erano rifugiati a Damasco, nell’attuale Siria. Il racconto di Atti ci dice che fu proprio mentre si recava a Damasco che avvenne l’impensabile…
3E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo 4e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?». 5Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perséguiti! 6Ma tu àlzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». 7Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno. 8Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco. 9Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda. 10C'era a Damasco un discepolo di nome Anania. [...] 17Andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». 18E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato19poi prese cibo e le forze gli ritornarono. 

(At 9,3-10.17-19)

Ciò che viene descritto, in questo e in altri passaggi neotestamentari in cui si parla della conversione di Paolo, è un vero e proprio incontro tra Gesù e Paolo. Paolo nelle sue lettere esprimerà spesso la sua consapevolezza di aver incontrato Gesù: è per questo che Paolo, nonostante non abbia conosciuto Gesù prima della risurrezione, viene considerato un apostolo: “il più piccolo degli apostoli” come si definirà nella Prima lettera ai Corinzi (1Cor 15,9) . L’immagine che l’autore di Atti usa è quella della luce che acceca: l’incontro con Gesù, colui che Paolo aveva combattuto con tutte le sue forze, considerando la risurrezione un’invenzione e il cristianesimo una malattia da estirpare, è descritto attraverso la metafora della luce che rende ciechi: tutto ciò che Paolo ha sempre pensato e creduto non ha più senso. Paolo perde tutti i riferimenti, non vede più nulla, non comprende più nulla. Riacquisterà la vista, tornerà a vedere, solo ascoltando le parole del discepolo Anania, per mezzo del quale Paolo è “colmato di Spirito Santo” e battezzato. Interessante il dettaglio che l’autore di Atti evidenzia descrivendo Paolo che riacquista la vista: gli cadono dagli occhi delle squame. C’era qualcosa che fisicamente impediva a Paolo di vedere la luce. È la stessa immagine che Luca usa nel racconto dei discepoli di Emmaus, che non riconoscono Gesù perché i loro occhi sono impediti. Tutto ciò che Paolo aveva studiato e credeva gli impediva di accedere alla fede in Gesù. L’incontro con Gesù sconvolge la sua vita rendendolo cieco, portandolo in una condizione in cui non capisce più nulla. Sono le parole dei discepoli di Gesù che permetteranno a Paolo di superare ciò che gli impediva di vedere, di credere in Gesù crocifisso e risorto. Si comprende allora come attraverso l’immagine della luce accecante il racconto di Atti descrive il percorso che ha portato Paolo alla conversione, che nasce da qualcosa di assolutamente potente e imprevisto, che Paolo racconterà come l’incontro con Gesù risorto: emerge come l’esperienza che è qui descritta sia sovrapponibile all’esperienza della risurrezione fatta dagli apostoli. Paolo, come gli undici, è testimone della risurrezione e in quanto tale è apostolo. Ultimo aspetto da non perdere sono le parole che Gesù rivolge a Paolo: “Io sono Gesù che tu perseguiti“. Emerge ancora l’identità tra Gesù e i cristiani: Paolo perseguitando i discepoli sta perseguitando lo stesso Gesù.

Quindi da questo momento Paolo verrà accolto dalla comunità cristiana e inizierà a diffondere il Vangelo? No. Nei suoi confronti si svilupperà un clima di sospetto (piuttosto comprensibile) tra i cristiani e Paolo si ritirerà a Tarso, probabilmente deciso a iniziare una nuova vita. Vi rimane diversi anni. Non avremmo più sentito parlare di Paolo se Barnaba, discepolo della comunità di Gerusalemme, inviato dagli apostoli in visita alla neonata comunità di Antiochia, non si fosse ricordato di lui, prelevandolo da Tarso e portandolo con sé ad Antiochia. Paolo è diventato uno dei più grandi apostoli perché un amico si è ricordato di lui. Immagine bellissima!

Antiochia è teatro di due “prime volte”: per la prima volta il Vangelo è annunciato anche ai pagani, non più quindi solo a persone provenienti dall’ebraismo; scelta per niente scontata che, leggiamo nel racconto di Atti (At 10-11), è l’apostolo Pietro a maturare e riconoscere come volontà di Dio. Per la prima volta inoltre, ci dice l’autore di Atti, ad Antiochia i discepoli di Gesù sono chiamati cristiani.

L’esperienza di Antiochia trasformerà Paolo nell'”apostolo delle genti”, appellativo col quale è indicato dalla tradizione cristiana. Da questo momento inizierà a girare il mondo annunciando il Vangelo e fondando comunità cristiane.

La cartina riporta gli itinerari dei viaggi missionari compiuti da Paolo. In questi viaggi affronterà ogni genere di pericoli e avventure. Per rendere l’idea di quello che Paolo ha vissuto leggo in classe il resoconto che ne fa nella Seconda lettera ai Corinzi, prendendosela con alcuni che millantavano di essere più autorevoli di lui come apostoli:
21Quello in cui qualcuno osa vantarsi - lo dico da stolto - oso vantarmi anch'io. 22Sono Ebrei? Anch'io! Sono Israeliti? Anch'io! Sono stirpe di Abramo? Anch'io! 23Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. 24Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; 25tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. 26Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; 27disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. 28Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. 

(2Cor 11,21-28)

Durante i viaggi di Paolo emergerà la prima vera discussione all’interno della Chiesa, che riguarda il problema della circoncisione e più in generale la domanda circa il rapporto tra cristianesimo e ebraismo: tutti i primi cristiani, come lo stesso Gesù, erano ebrei, erano quindi circoncisi e seguivano le prescrizioni della legge ebraica. Adesso che la fede cristiana è professata anche da persone non provenienti dall’ebraismo, è necessario che anche loro vengano circoncisi e siano sottomessi alla legge di Israele? Emergono due opposti schieramenti: quelli che affermano che per essere cristiani è necessario essere circoncisi e quelli che sostengono invece che la fede cristiana non necessita della circoncisione. Per risolvere questo problema viene convocato, a Gerusalemme, quello che può essere riconosciuto come il primo Concilio della Chiesa: gli apostoli, presieduti da Pietro, si riuniscono per discutere la questione. Paolo, che torna apposta a Gerusalemme per il Concilio, è un fermo sostenitore della non necessità della circoncisione. Sarà la posizione che prevarrà. Al termine della discussione gli apostoli inviano una lettera con la quale rendere noto ciò che il Concilio ha stabilito.

23«Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! 24Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. 25Ci è parso bene perciò, tutti d'accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, 26uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi, a voce, queste stesse cose. 28È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

(At 15,23-29)

Questa lettera, riportata negli Atti degli Apostoli, può essere considerata il primo atto magisteriale ufficiale della storia della Chiesa.

L’ultimo viaggio di Paolo, come si accennava prima, è il cosiddetto “viaggio della prigionia”. Al termine del terzo viaggio missionario Paolo rientra a Gerusalemme. Qui viene arrestato nel tempio a motivo della sua fede cristiana. (At 21). Dopo diverse vicissitudini Paolo sceglierà di appellarsi all’imperatore, chiedendo di essere giudicato da lui a Roma (At 25), diritto che possedeva in quanto cittadino romano. Intraprende così l’ultimo viaggio, che lo porterà “al centro del mondo”. Per presentarsi alla comunità cristiana di Roma Paolo scriverà il suo capolavoro: la Lettera ai Romani, nella quale troviamo sintetizzato tutto il pensiero teologico di Paolo. Il racconto di Atti si conclude con l’arrivo di Paolo a Roma. La tradizione cristiana ci dice che qui, tra il 64 il il 67 d.C., Paolo verrà condannato e darà la vita per quel Gesù che gli ha cambiato l’esistenza per sempre.

Di Paolo troviamo nel Nuovo testamento ben tredici lettere, scritte alle comunità cristiane da lui fondate e ad alcuni dei suoi più stretti collaboratori (Timoteo, Tito, Filemone). In esse Paolo affronta i problemi delle comunità cristiane e ripercorre i temi fondamentali dell’annuncio cristiano. In classe, come estratto delle lettere paoline, leggo l'”inno alla carità” che troviamo al capitolo 13 della Prima lettera ai Corinzi, uno dei capolavori scritti da Paolo, nel quale troviamo la descrizione più chiara e completa del valore e delle caratteristiche dell’amore nella prospettiva cristiana.
1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. 2E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. 3E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. 4La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, 5non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. 7Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8La carità non avrà mai fine. 

(1Cor 13,1-8)

Le cosiddette “lettere cattoliche” sono quella sezione del Nuovo Testamento nella quale troviamo riunite quelle lettere che hanno un’autore diverso da Paolo. Sono testi molto diversi tra loro, che raccolgono il pensiero delle comunità cristiane nelle quali sono scritte. Da notare come, a differenza delle lettere di Paolo, siano denominate a partire dal nome dell’autore e non del destinatario. Per dare un assaggio di quello che troviamo in queste lettere leggo normalmente il passaggio della Prima lettera di Giovanni in cui è esplicitata la definizione di Dio come amore: tra tutte la definizione più precisa e indicativa della realtà di Dio per la fede cristiana. Da notare come anche qui l’amore di Dio è sempre legato inscindibilmente all’amore per l’altro.
7Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. 8Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore9In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. 10In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. .

(1Gv 4,7-10)

Da ultimo, vediamo il libro dell’Apocalisse, senz’altro il testo più enigmatico e complesso che troviamo nel Nuovo testamento. La difficoltà di quest’opera è data dal genere letterario a cui appartiene, il genere apocalittico, molto diffuso all’epoca, di cui troviamo traccia anche nell’Antico Testamento, soprattutto nei libri di Ezechiele e Daniele. Tipico di questo genere è esprimere i contenuti che si vogliono veicolare attraverso immagini difficili da decifrare: creature mostruose, animali deformi, il tutto ambientato in un tempo al di là della storia. È questo il motivo per il quale normalmente la parola “apocalisse” è associata a cataclismi, eventi straordinariamente disastrosi, finanche per indicare la fine del mondo. In realtà la parola “apocalisse” non ha niente a che fare con tutto questo. Etimologicamente significa “rivelazione”. L’etimologia qui può aiutarci a comprendere la vera natura di un testo come questo: l’Apocalisse infatti non si pone un obiettivo diverso rispetto agli altri testi del Nuovo Testamento. Come i Vangeli, come gli Atti e le lettere ha come scopo rivelare, annunciare Gesù Cristo e la fede cristiana. Lo fa però ricorrendo al linguaggio e alle immagini tipiche della letteratura apocalittica.
Il libro dell’Apocalisse è scritto dalla scuola che fa riferimento all’evangelista Giovanni, a cavallo tra il primo e il secondo secolo. Si apre con sette lettere a sette Chiese dell’Asia minore, per poi proseguire con diverse immagini enigmatiche che si susseguono e chiedono di essere interpretate per poterle cogliere nel loro significato autentico.

Per dare l’idea ai ragazzi di ciò di cui stiamo parlando, leggo in classe un passaggio del capitolo 13 del libro dell’Apocalisse, in cui troviamo l’immagine della bestia e il celeberrimo numero 666.

11E vidi salire dalla terra un'altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago12Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13Opera grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14Per mezzo di questi prodigi, che le fu concesso di compiere in presenza della bestia, seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia, che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia16Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, 17e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome18Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei. 

(Ap 13,11-18)

Nell’immaginario collettivo la bestia con le corna e il numero 666 sono universalmente associati al diavolo, proprio a partire da questo brano del libro dell’Apocalisse. A una prima lettura si comprende bene il motivo di questa associazione: cosa c’è di più diabolico di una bestia con due corna, che sputa fuoco e seduce gli abitanti della terra? Ma è davvero questo il senso autentico di questo passo? Alcuni elementi ci portano in un’altra direzione. Anzitutto il numero 666 non è un numero che identifica una creatura diabolica, dice il testo: “è infatti un numero di uomo”. Facendo riferimento alla bestia quindi l’autore dell’Apocalisse chiarisce che sta parlando di un uomo. Che caratteristiche ha questo uomo? Comanda di erigere una statua della bestia (cioè di sé stesso), mette a morte chi non adora la statua della bestia, nessuno può comprare o vendere senza il marchio della bestia. A che personaggio può star facendo riferimento qui il libro dell’Apocalisse? È facilmente identificabile con l’Imperatore romano, che fa erigere una statua di sé e comanda di adorarla, la cui effige compare sulle monete che servono per comprare e vendere. Identificare la bestia con l’Imperatore permette di comprendere il contesto della comunità cristiana a cui questo testo è rivolto: chi sono coloro che vengono messi a morte per essersi rifiutati di adorare la statua dell’Imperatore? Sono i cristiani! Il libro dell’Apocalisse si rivolge a una comunità cristiana perseguitata. E il numero 666? Sono state fatte molte ipotesi su come interpretare quello che viene considerato il numero di Satana. L’ipotesi più suggestiva è quella che fa riferimento al valore numerico delle lettere dell’alfabeto ebraico: nell’ebraico, come nel greco, le lettere vengono utilizzate anche per scrivere i numeri, hanno quindi un valore numerico. È stato calcolato che se si somma il valore numerico delle consonanti di “Cesar Neron” (Nerone Cesare), scritto in lingua ebraica (si calcolano solo le consonanti perché l’alfabeto ebraico è composto solo da consonanti), il risultato che si ottiene è 666. Secondo questa ipotesi il numero 666 è il modo attraverso cui l’autore del libro dell’Apocalisse fa riferimento all’Imperatore Nerone e alla persecuzione da lui scatenata contro i cristiani.

Che senso ha un testo del genere nella prospettiva cristiana? Nei capitoli successivi il libro dell’Apocalisse racconterà la sconfitta della bestia e il trionfo dell’agnello (che rappresenta Gesù). Si comprende allora ciò che il libro dell’Apocalisse vuole rivelare alle comunità perseguitate a cui si rivolge: dà un messaggio di speranza. Voi siete nella persecuzione, ma la persecuzione non è l’ultima parola. Il vincitore finale non è la bestia, è l’agnello. Il libro dell’Apocalisse, con le sue immagini enigmatiche e mostruose, non fa altro che affermare la speranza cristiana: alla fine a trionfare non è la morte, ma la vita. Il tema fondamentale, come per tutto il Nuovo Testamento, è sempre ciò che la risurrezione di Gesù ha reso possibile comprendere.

Dopo aver passato brevemente in rassegna i testi del Nuovo Testamento, chiedo ai ragazzi se sanno dirmi perché in esso troviamo questi ventisette testi e non altri. Chi ha deciso quali testi considerare parte nel Nuovo Testamento? Perché proprio questi testi? È la cosiddetta “questione del canone”. La parola “canone” letteralmente significa “canna”: era un bastone di che veniva utilizzato per misurare la lunghezza di distanze e superfici. Cosa c’entra col Nuovo Testamento? Con la parola “canone” si indicano quei testi riconosciuti come “il metro di riferimento” per la fede: i testi canonici sono i testi nei quali sono contenuti ed espressi gli elementi fondamentali per la fede cristiana. Il fatto di essere inseriti nel Nuovo Testamento li rende normativi: non è possibile pensare alla fede cristiana senza fare riferimento a quello che questi testi ci dicono di essa.
I criteri che la Chiesa utilizzò nel definire i testi del canone sono tre. Anzitutto sono riconosciuti come normativi per la fede cristiana quei testi che circolano nelle comunità cristiane primitive sotto l’autorità apostolica, ossia scritti dagli apostoli o dai loro diretti successori. Appartengono al canone quei testi i cui contenuti sono coerenti con la fede delle prime comunità cristiane, cioè con la fede degli apostoli che si fonda sugli insegnamenti di Gesù stesso. Infine, sono accolti nel canone i testi che erano utilizzati nella preghiera delle comunità cristiane, erano cioè letti, come avviene anche oggi nella Messa, durante le celebrazioni.
Per dare ai ragazzi l’idea della complessità e della durata del processo che ha portato alla definizione del canone del Nuovo Testamento, ho riportato in questa slide le principali testimonianze che ci permettono di ricostruirne l’evoluzione. Risale al 140 d.C. il testo più antico nel quale troviamo citati per la prima volta i quattro Vangeli. Dobbiamo però far passare altri quarant’anni prima di avere un primo elenco di testi del canone più ampio, anche se incompleto: la Adversus Haereses del vescovo Ireneo di Lione parla, nel 180 d.C., di un Nuovo Testamento composto da 24 testi: mancano quattro lettere cattoliche all’elenco (le lettere di Giuda e di Giacomo, la seconda lettera di Pietro, la terza lettera di Giovanni). Da qui in avanti troviamo diverse testimonianze di elenchi del canone incompleti. Insegnando a Milano, mi soffermo normalmente sul cosiddetto “frammento muratoriano”: questa lista incompleta di testi del Nuovo Testamento, risalente al 190 d.C., fu infatti casualmente ritrovata nella Biblioteca Ambrosiana di Milano da Ludovico Muratori (da cui prende il nome) nel 1740. Il primo testo in cui troviamo l’elenco completo dei 27 libri del Nuovo Testamento è una lettera di Atanasio che risale solo al 367 d. C., quando cioè ormai il cristianesimo esiste da più di tre secoli. Questa breve carrellata permette di comprendere come la definizione del canone non sia stata decisa da qualcuno in un momento preciso, ma sia l’esito di un processo complesso durato diversi secoli.
Stranamente non troviamo nessuna “definizione ufficiale” del canone da parte della Chiesa fino al Concilio di Trento, nel 1546. Perché Trento, millecinquecento anni dopo, si prende la briga di dirci quali fossero esattamente i testi del Nuovo Testamento? Perché questo Concilio risponde a Lutero, che aveva messo in discussione il valore canonico di alcuni libri del Nuovo Testamento (la lettera agli Ebrei, le lettere di Giacomo e Giuda e l’Apocalisse). Il fatto però che dal IV al XVI secolo non si sia reso necessario definire ufficialmente la composizione del Nuovo Testamento ci dice come il processo definizione del canone, dopo una prima fase di discussione, si sia concluso in modo del tutto pacifico e unanime.
Da ultimo propongo ai ragazzi uno sguardo sui cosiddetti “testi apocrifi”, sui quali spesso aleggia il mito che li indica come testi “nascosti”, “segreti”, che la Chiesa non ha voluto riconoscere. La parola “apocrifo” in effetti ha esattamente questo significato: deriva dal verbo greco ἀποκρύπτω (apocypto), dal quale discendono ad esempio le parole italiane “criptato” o “criptico”, che significa esattamente “nascosto”. Cosa sono gli apocrifi? Sono testi scritti parallelamente ai libri del Nuovo Testamento, che come questi circolano nelle prime comunità cristiane, ma che non sono stati inseriti nel canone: ciò che in essi è contenuto cioè non viene considerato coerente con la fede delle comunità cristiane.
Il fenomeno degli apocrifi non è esclusivo del Nuovo Testamento, vi sono infatti anche moltissimi apocrifi dell’Antico Testamento; il più noto è il Libro di Enoch nel quale troviamo la famosa vicenda di Lucifero e degli angeli decaduti, che alcuni erroneamente considerano un racconto biblico. La maggior parte dei testi apocrifi che conosciamo sono scritti tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C.. Sono testi di natura e con finalità molto diverse tra loro. Per quanto riguarda gli apocrifi cristiani troviamo testi appartenenti a tutti i generi letterari presenti nel Nuovo Testamento: abbiamo vangeli apocrifi, lettere apocrife, apocalissi apocrife. Per quanto risulti estremamente complesso dare uno sguardo complessivo sul mondo degli apocrifi, semplificando molto possiamo suddividere questi testi in tre macrocategorie: i testi con contenuti eretici, i testi scritti per ampliare i Vangeli e i testi di origine gnostica.
Gli apocrifi con contenuti eretici sono quei testi che vengono rifiutati in quanto presentano delle difformità evidenti rispetto alla fede delle comunità cristiane. Nella slide sono indicati i più importanti testi appartenenti a questa tipologia, mettendo in evidenza per ciascuno gli aspetti di non conformità rispetto alla fede cristiana. Da notare come questi testi non ci siano stati tramandati: trattandosi di opere dai contenuti eretici nessuno si è preso la briga di copiarle e tramandarle. Li conosciamo perché abbiamo invece le opere scritte da coloro che contestano ciò che questi testi eretici sostengono e, contrapponendosi ad essi, li citano e ce ne fanno conoscere i contenuti.
La seconda categoria di testi apocrifi è quella più conosciuta. Si tratta di testi scritti con la finalità di riempire gli spazi vuoti lasciati dai Vangeli nel racconto della vicenda di Gesù. In effetti i Vangeli, come abbiamo visto, raccontano solo una parte della vita di Gesù e in modo piuttosto stringato. Non dicono nulla ad esempio di tutto ciò che avviane tra la nascita di Gesù e l’inizio del suo ministero a trent’anni suonati, ci dicono molto poco dei personaggi che via via Gesù incontra nel suo percorso. Questi testi apocrifi sono scritti esattamente con l’intento di far luce su quanto i Vangeli non ci dicono della storia Gesù. L’aspetto singolare è che, anche se non sono considerati canonici, essi hanno avuto un influsso significativo sulla tradizione cristiana. Moltissimi elementi che la tradizione della Chiesa ci consegna infatti provengono da questi racconti apocrifi. Le due immagini della slide ne sottolineano due: è infatti nella tradizione apocrifa che troviamo i nomi dei Magi che tutti conosciamo: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Sono sempre questi testi che ci parlano dei genitori di Maria, Gioacchino e Anna, che la Chiesa, nonostante la loro provenienza apocrifa, riconosce come santi e festeggia il 26 luglio.

Perché questi testi non sono stati inseriti nel canone? Per rispondere a questa domanda ne leggo in classe alcuni estratti: è sufficiente questo per rendersi conto della natura di questi racconti e del motivo per il quale non sono stati accolti nel canone. Il primo testo che propongo è tratto dal Vangelo dell’infanzia, scritto nel corso del II secolo.

All’età di cinque anni questo ragazzo stava giocando sul greto di un torrente: raccoglieva in fosse le acque che scorrevano e subito le faceva limpide comandando con la sola sua parola. Impastata dell’argilla molle, ne fece dodici passeri: quando fece questo era di sabato. C’erano pure tanti altri ragazzi che giocavano con lui. Un ebreo, vedendo quello che Gesù faceva giocando di sabato, andò a dirlo a Giuseppe: “Ecco, tuo figlio è al ruscello, ha preso dell’argilla e ne ha formato dodici uccellini, profanando il sabato”. Giuseppe andò, lo vide e lo sgridò: “Perché fai queste cose di sabato, che non è lecito fare?”. Ma Gesù, battendo le mani disse ai passerotti: “Andate!”. E quelli volarono via cinguettando: Al vedere ciò gli Ebrei rimasero di stucco e andarono a raccontare ai capi quanto avevano visto.

Il testo riprende uno dei temi che attraversano i Vangeli, le controversie sul sabato, collocandolo in un racconto ambientato durante l’infanzia di Gesù. Ciò che emerge è una descrizione del tutto miracolistica e fine a sé stessa che da un punto di vista della fede cristiana ha ben poco da dire.

Il secondo testo è tratto dal Protovangelo di Giacomo, databile intorno al 150 d.C., e affronta uno dei temi comprensibilmente più controversi anche nel cristianesimo delle origini: la verginità di Maria. Il racconto è ambientato subito dopo la nascita di Gesù.

Uscita dalla grotta l'ostetrica si incontrò con Salome, e le disse: "Salome, Salome! Ho un miracolo inaudito da raccontarti: una vergine ha partorito, ciò di cui non è capace la sua natura". Rispose Salome: "Come è vero che vive il Signore, se non ci metto il dito e non esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito". Entrò l'ostetrica e disse a Maria: "Mettiti bene. Attorno a te, c'è, infatti, un non lieve contrasto". Salome mise il suo dito nella natura di lei, e mandò un grido, dicendo: "Guai alla mia iniquità e alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca da me, bruciata". E piegò le ginocchia davanti al Signore, dicendo: "Dio dei miei padri, ricordati di me che sono stirpe di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Non fare di me un esempio per i figli di Israele, ma rendimi ai poveri. Tu, Padrone, sai, infatti, che nel tuo nome io compivo le mie cure, e la mia ricompensa la ricevevo da te". Ed ecco apparirle un angelo del Signore, dicendole: "Salome, Salome! Il Signore ti ha esaudito: accosta la tua mano al bambino e prendilo su, e te ne verrà salute e gioia". Salome si avvicinò e lo prese su, dicendo: "L'adorerò perché a Israele è nato un grande re". E subito Salome fu guarita e uscì dalla grotta giustificata.

Qui, per dimostrare la verginità di Maria, l’autore riprende il famoso episodio dell’incredulità di Tommaso di fronte alla risurrezione, raccontato nel Vangelo di Giovanni, dove Tommaso afferma “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,25). Sono le stesse parole che Salome pronuncia, riferite però a tutt’altro… L’incredulità di Salme è punita da Dio in modo eclatante, senza che questo però impedisca il lieto fine della storia. Risulta evidente come ciò che ci viene raccontato sia una caricatura del tutto priva di qualsiasi credibilità.

Da ultimo leggo un testo tratto dallo Pseudo Vangelo di Matteo. È un’opera più tarda, databile tra il VII e l’VIII secolo, ma che mostra in tutta chiarezza il motivo per il quale questa tipologia di apocrifi non è considerata nel canone.

Dopo il ritorno di Gesù dall'Egitto, mentre era in Galilea, già al principio del quarto anno di età, un giorno di sabato giocava con dei fanciulli presso il letto del Giordano. Gesù, sedutosi, si fece sette laghetti di fango, munì ciascuno di essi di fossatelli per mezzo dei quali al suo comando portava acqua dal torrente al lago e di qui la riportava. Uno di quei fanciulli, un figlio del diavolo, con animo invidioso, chiuse gli sbocchi che portavano acque nei laghetti e mandò all'aria quanto aveva fatto Gesù. Allora gli disse Gesù: Guai a te, figlio di morte, figlio di Satana. Osi tu distruggere quanto io ho compiuto? - Colui che aveva agito così morì subito. Con voce tumultuante i genitori del morto gridarono allora contro Maria e Giuseppe, dicendo loro: il vostro figlio ha maledetto il nostro figlio ed è morto. - Ciò udito, Giuseppe e Maria si recarono subito da Gesù, a causa del tumulto dei genitori del ragazzo e dell'assembramento dei Giudei. E Giuseppe disse in segreto a Maria: io non oso parlargli. Ammoniscilo tu dicendogli: perché hai suscitato contro di noi l'odio del popolo, e ci tocca sopportare l'odio molesto della gente? - Giunta da lui la madre lo pregò dicendo: Signore mio, che ha mai fatto costui per morire? - Egli le rispose: era degno di morte, avendo mandato all'aria quanto io avevo fatto. - La madre allora lo pregava dicendo: No, Signore mio, perché tutti insorgono contro di noi. - Non volendo rattristare sua madre, con il suo piede destro egli percosse il sedere del morto dicendogli: Alzati, figlio iniquo. Non sei infatti, degno di entrare nella pace di mio padre, avendo tu mandato all'aria quanto io avevo fatto. - Allora colui che era morto risuscitò e se ne andò. E Gesù, attraverso un acquedotto conduceva, al suo comando, le acque nei laghetti”.

Gesù è descritto come un bambino capriccioso e vendicativo, dotato di superpoteri che utilizza a suo piacimento. Niente a che vedere con il Gesù dei Vangeli.

Ultima tipologia di scritti apocrifi sono i testi di origine gnostica. Lo gnosticismo – da non confondere con l’agnosticismo – è una filosofia di origine precristiana, la cui esistenza è emersa con chiarezza solo grazie a un importante ritrovamento archeologico che risale al 1945. A Nag Hammadi, in Egitto, vengono ritrovanti 13 manoscritti ancora leggibili, risalenti al 400 d.C. circa, che permettono di conoscere e comprendere gli elementi fondamentali di questa filosofia. Non esiste un’unica forma di gnosticismo (da qui la difficoltà ad identificarlo con precisione), ciascuna setta gnostica esprime questa filosofia in una forma propria. Quando lo gnosticismo incontra il cristianesimo sorgono sette che professano lo gnosticismo cristiano: i contenuti della fede cristiana vengono riletti alla luce della filosofia gnostica, alterando profondamente ciò che il cristianesimo professa. Nei testi apocrifi di origine gnostica troviamo questa rilettura della figura di Gesù e del cristianesimo operata dallo gnosticismo cristiano.
In questa slide provo a sintetizzare i contenuti fondamentali dalla filosofia gnostica, che troviamo espressi in forme modi differenti dalle diverse sette. Lo gnosticismo si fonda sulla distinzione tra la realtà immateriale, positiva, e la realtà materiale negativa: Il dio supremo, immateriale, creò, secondo questa filosofia, delle entità incorporee chiamate “eoni”. Uno di questi eoni, di nome Sophia, si corrompe e crea il mondo materiale negativo. Gli uomini possiedono una particella divina immateriale, l’anima, che desidera ricongiungersi con dio, separandosi dalla negatività del corpo (molto negativo lo sguardo sulla sessualità dello gnosticismo). L’aspetto più caratteristico di questa filosofia è il modo attraverso il quale è possibile ricongiungersi con il dio immateriale: non attraverso un comportamento giusto, non rispettando delle regole morali o religiose, ma solo attraverso la conoscenza della verità. La verità è quel segreto che permette la salvezza dell’anima, che appartiene solo ai membri della setta. Da qui il nome di gnosticismo, che ha in se la radice del verbo greco γιγνώσκω (gignosko), che significa “conoscere”.
Le sette gnostiche cristiane esprimono i contenuti fondamentali dello gnosticismo attraverso una rilettura gnostica del cristianesimo. Sophia, l’eone corrotto che crea il mondo materiale, è identificato con il Dio dell’Antico Testamento, che la Bibbia ci presenta come Dio creatore. Questa identificazione trova una conferma importante nel secondo racconto della creazione (Gn 2), quando Dio impedisce agli uomini di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza: Dio non vuole che gli uomini conoscano la verità e si salvino. La setta gnostica dei cainiti per questo venera la figura di Caino, il primo che cerca di opporsi a Sophia! Gesù è considerato un eone immateriale disceso sulla terra per svelare agli uomini la verità che Dio voleva nascondere. Troviamo quindi una forte contrapposizione tra Gesù e il Dio dell’Antico testamento. In quanto eone perfetto e immateriale, l’incarnazione di Gesù è considerata solo apparente: non era veramente uomo. Anche nello gnosticismo cristiano ciò che conta non è la fede e la morale: ci si salva solo conoscendo la verità.
In questa ultima slide sono indicati i principali testi apocrifi espressione dello gnosticismo cristiano, che non sono accolti nel canone del Nuovo Testamento in quanto presentano un cristianesimo riletto in prospettiva gnostica.
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