L’enigma della risurrezione

La deposizione e sepoltura di Gesù, essendo la vigilia del sabato, si è svolta in fretta e furia. Non c’è stato tempo di rendere omaggio al corpo cospargendolo con gli unguenti tipici dei riti di sepoltura del tempo. Così, passato il sabato, le donne – sempre loro, degli uomini non c’è più traccia! – di buon mattino si recano al sepolcro per un ultimo gesto di pietà nei confronti del Maestro.

1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». 4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: «Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto»». 8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite. 

(Mc 16,1-8)

Il Vangelo di Marco in origine finiva così. Gli studiosi ci dicono che quanto rimane del capitolo 16 è stato aggiunto al Vangelo in un secondo momento. L’ultima scena del racconto riprende le donne che, di fronte all’annuncio della risurrezione, scappano piene di paura e non dicono niente a nessuno. È un finale enigmatico: cosa succede dopo? Che fine hanno fatto gli apostoli? E Gesù, cosa significa che “è risorto”? Sta di fatto che i titoli di coda del racconto di Marco, nella sua versione originale, scorrevano davanti al sepolcro vuoto. Di Gesù si dice che è risorto, ma se ne sottolinea l’assenza: “non è qui“. L’incontro con lui è rimandato a un futuro indefinito, “in Galilea“, nei luoghi che Gesù ha percorso di più durante la sua vita. Quasi a dire che prima di incontrarlo servirà ripercorrere la memoria dei suoi gesti e delle sue parole.

Emerge già come la risurrezione sia presentata dai Vangeli come un enigma. In cosa consiste la risurrezione? Cosa è successo realmente a Gesù? Nessuno dei quattro Vangeli descrive il momento della risurrezione. In tutti e quattro, dopo la sepoltura, il racconto riprende con le donne che trovano il sepolcro vuoto. Da qui in avanti i racconti degli evangelisti divergono in modo significativo. Matteo racconta un’apparizione di Gesù alle donne mentre stanno correndo via dal sepolcro e un’apparizione di Gesù agli apostoli, che però avviene non a Gerusalemme ma in Galilea, dove nel frattempo erano tornati. Luca al contrario riporta prima l’apparizione di Gesù a due discepoli sulla strada di Emmaus – e quando raccontano l’accaduto agli apostoli questi esclamano “davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34), ma da nessuna parte è raccontata un’apparizione di Gesù a Simone! – e poi l’apparizione agli undici, ma diversamente da Matteo, è collocata a Gerusalemme. Per non parlare di Giovanni che racconta più apparizioni, alcune a Gerusalemme, altre in Galilea, molto diverse da quelle che troviamo negli altri Vangeli. Appare evidente come tentare di mettere in fila questi racconti e ricostruire una storia coerente risulti un’impresa impossibile: i testi sono troppo divergenti e contradditori!

Perché gli evangelisti raccontano la risurrezione in modi così diversi? La prima risposta che i ragazzi normalmente mi danno è: se la sono inventata. In realtà, a ben vedere, questa diversità dimostra il contrario: se gli evangelisti avessero avuto l’intenzione di scrivere un racconto che falsificasse la realtà, sarebbero stati molto attenti a raccontare una storia coerente e credibile. Se dovete convincere la prof a spostare una verifica, inventate una scusa ed è importante che vi atteniate tutti alla la stessa versione, altrimenti non siete credibili! Tanto più che la diceria secondo la quale i discepoli di Gesù avrebbero inventato la risurrezione la troviamo già riportata nei Vangeli:

11Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. 12Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, 13dicendo: «Dite così: «I suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo». 14E se mai la cosa venisse all'orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». 15Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi.

(Mt 28,11-15)

Siamo quindi di fronte qui a qualcosa di più complesso. Non un racconto che si fonda su avvenimenti chiaramente collocabili nello spazio e nel tempo; non un’evento inventato per falsificare la realtà. Come possiamo interpretare allora ciò che i Vangeli ci dicono della risurrezione? Vanno interpretarli come il tentativo degli evangelisti di raccontarci un evento potentissimo, del tutto fuori dal comune, per esprimere il quale non esistono parole. È come quando ci succede qualcosa di talmente straordinario che, se proviamo a raccontarlo, tutte le parole possibili ci sembrano inadeguate ad esprimere quello che abbiamo vissuto; possiamo provare a dirlo solo per accenni, solo per immagini. Questo troviamo nei Vangeli.

Ma in cosa consiste questa esperienza straordinaria vissuta dai discepoli? Non è possibile dare una risposta precisa. Quello che comprendiamo è che essa ha a che fare con l’emergere della comprensione autentica del senso della croce e di ciò che lì è svelato. Dopo la morte di Gesù, tutti – sia chi aveva crocifisso Gesù, sia chi gli aveva creduto – leggono quella fine come la smentita della pretesa messianica di Gesù: ha fatto e detto tante cose belle, ma se è morto così, evidentemente non era né il Messia, né il Figlio di Dio. Il Cristo non può morire sulla croce! La risurrezione è un evento straordinario che permette ai discepoli di compiere un passaggio impensabile e fondamentale: comprendere che “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36). Il crocifisso è il Cristo che, dando la vita sulla croce, ha lasciato trasparire in modo cristallino il volto di Dio. Per questo possiamo dire “Gesù è Dio” e “Gesù è vivo”: il crocifisso è ormai associato eternamente a Dio, non è più distinguibile da Dio, la sua vicenda travalica la morte, è risorto, vive in Dio. Questo è ciò che la risurrezione rende possibile comprendere. Come? Non lo sappiamo. Nei Vangeli troviamo solo dei cenni sfocati di quello che gli apostoli hanno vissuto, come un dito che indica qualcosa che sfugge. Ma senza un evento di una potenza ed evidenza tali da consentire l’accesso a qualcosa di assolutamente impensabile, assolutamente al di là di ogni logica – “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” scriverà Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (1Cor 1,23) – il cristianesimo non sarebbe mai nato. Gesù sarebbe rimasto solo un uomo che ha fatto e detto tante cose belle, ma poi è finito male, nulla di più

Il testo che più di ogni altro permettere di cogliere ciò che caratterizza l’esperienza della risurrezione, le dinamiche che hanno condotto i discepoli alla piena comprensione del senso della vicenda di Gesù, è il racconto dei dei discepoli di Emmaus, che troviamo al capitolo 24 del Vangelo di Luca.

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.

(Lc 24,13-16)

La scena si apre con due discepoli che, dopo gli eventi della passione, si stanno allontanando da Gerusalemme: metaforicamente potremmo dire, si stanno allontanando da Gesù. Di fronte alla croce, la fede dei discepoli viene meno: se Gesù ha fatto quella fine non era né il Messia, né il Figlio di Dio. Lungo il cammino parlano tra loro di ciò che è accaduto, ripercorrendo tutto quello che Gesù aveva detto e aveva fatto…

D’un tratto entra in scena un terzo personaggio, che l’evangelista presenta come “Gesù in persona”: è proprio Gesù, non ci sono dubbi! Ma, cosa del tutto strana, gli occhi dei discepoli non sono in grado di riconoscerlo. Il racconto, se preso alla lettera, non ha senso: come è possibile che i discepoli non riconoscano colui del quale stavano parlando, di cui erano stati discepoli e compagni? È chiaro che il piano su cui si muove l’evangelista è quello metaforico: i discepoli non sono più in grado di riconoscere Gesù, non sanno più chi egli sia. Lo pensano morto, mentre lui è vivo! Interessante notare l’accento sugli occhi: è un problema di occhi, è un problema di sguardo. Il loro modo di guardare alla croce li porta a considerarla il fallimento di Gesù, mentre è il suo trionfo. Serve uno sguardo nuovo.

17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

(Lc 24,17-24)

Gesù, presentandosi ignaro di tutto, si fa raccontare dai due discepoli tutto quello che “i loro occhi vedono”. Luca riporta parola per parola il pippone che Clèopa e il suo compagno riversano addosso a Gesù, sottolineando il volto triste, le speranze deluse – “noi speravamo” – il linguaggio al passato… Gesù risponde in modo molto forte! “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti”. Gesù diagnostica ai discepoli un problema di comprensione delle Scritture: la malattia di cui soffrono gli occhi dei discepoli è causata dal loro modo di intendere ciò che le scritture avevano detto del Messia. È il tema che attraversa tutto il Vangelo: l’aspettativa sul Messia, delusa da un Gesù che interpreta questo ruolo in modo diverso dalle attese. Cosa fa Gesù? Svela ai discepoli il vero senso delle scritture, ciò che davvero esse avevano preannunciato del Messia.

Possiamo leggere qui in filigrana una prima dinamica che caratterizza l’esperienza della risurrezione: una nuova comprensione delle Scritture, capace di rendere evidente che “bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze“. L’attesa del Messia da parte del popolo di Israele faceva normalmente riferimento a quei passi dell’Antico Testamento che lo presentavano come un condottiero che avrebbe ristabilito il regno di Davide. Ma questa non è l’unica rappresentazione del Messia che troviamo nelle Scritture. Ce n’è un’altra che, seppur minoritaria, è presente. La testimonianza più vivida di questo diverso modo di interpretare la figura del Messia la troviamo nei cosiddetti “canti del servo” nel libro di Isaia. Leggo normalmente in classe uno dei passaggi più rilevanti da questo punto di vista.

2Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. 3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. 7Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza. 

(Is 53,2-11)

È a partire da testi come questo che i discepoli riusciranno a superare lo scandalo della croce, cogliendo la possibilità di un Messia diverso dalle attese: la croce viene così finalmente colta non più come il fallimento di Gesù, ma come ciò che ha permesso al Messia di portare a compimento la sua missione, rivelando al mondo il volto autentico di Dio. A dimostrazione dell’importanza di un testo come questo per il sorgere della fede cristiana, esso, come risulta evidente, è utilizzato dagli evangelisti come canovaccio per scrivere i racconti della passione, che ricalcano esattamente il vissuto dell'”uomo dei dolori” descritto da Isaia.

Prima dinamica fondamentale attiva nell’esperienza della risurrezione vissuta dai discepoli è quindi una comprensione nuova delle Scritture e di ciò che preannunciano del Messia: questo contribuisce in modo decisivo a identificare il crocifisso con il Cristo.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista32Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».

(Lc 24,28-34)

Il racconto continua con Gesù che fa per proseguire il cammino e i discepoli che lo invitano a passare con loro la notte. Sembra una notazione di contorno ma, come vedremo, è carica di significato. Entrati in casa Gesù ripete davanti ai due discepoli il gesto dell’ultima cena: “prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro“. È questo il momento decisivo nel quale i discepoli lo riconoscono: comprendono che Gesù è vivo! Questo passaggio ci svela una seconda dinamica attiva nell’esperienza della risurrezione che i discepoli hanno vissuto. L’eucaristia, abbiamo visto, è il gesto attraverso il quale Gesù, prima di morire, cerca di spiegare ai suoi discepoli il senso della sua morte: non sono loro che mi uccidono, sono io che dono la vita. La memoria di quel gesto e l’emergere del significato che in sé racchiude contribuisce tanto quanto la nuova comprensione delle Scritture a far cogliere ai discepoli il senso autentico della croce come strumento scelto da Gesù per manifestare in modo pieno e definitivo il volto di Dio.

Il racconta di Luca indica quindi come l’esperienza della risurrezione – l’incontro con Gesù risorto – sia resa possibile dall’attivarsi di queste due dinamiche: una comprensione nuova delle Scritture riferite al Messia e del gesto compiuto da Gesù nell’ultima cena. Non sapremo mai concretamente cosa è stata la risurrezione, quale esperienza i discepoli hanno concretamente vissuto, ma queste due dinamiche hanno certamente un ruolo decisivo nell’emergere della consapevolezza fondamentale della fede cristiana: Gesù è il Cristo, il crocifisso è risorto!

Perché, dopo che i discepoli l’hanno riconosciuto, Gesù sparisce dalla loro vista? Cosa vuole dirci Luca attraverso quest’ultimo colpo di scena? Dopo aver compreso che Gesù è vivo, i discepoli entrano nel tempo post-pasquale, che è il tempo che viviamo tutti noi. Gesù è vivo, ma non è più tra noi come prima: è sparito dalla nostra vista. D’ora in avanti l’incontro con Gesù avviene in altro modo: nella Parola di Dio e nell’Eucaristia in primis, come evidenzia Luca in questo racconto. Ma c’è anche un terzo luogo di incontro con Gesù vivente che la vicenda di Emmaus indica. Il riconoscimento di Gesù allo spezzare del pane è reso possibile perché prima i due discepoli hanno accolto nella loro casa l’uomo che camminava con loro. La dinamica descritta è la stessa che abbiamo visto espressa da Gesù parlando del giudizio universale: senza rendersene conto i discepoli, accogliendo un viandante, accolgono Gesù in persona: “ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Come nella Parola e nell’Eucaristia, Gesù risorto è presente e si rende incontrabile nel volto dell’altro: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

La risurrezione è un enigma complesso da decifrare, è però l’esperienza fondamentale dalla quale scaturisce la fede cristiana: “se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” scriverà Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (1Cor 15,17). È questo evento che ha permesso ai discepoli di comprendere la croce di Gesù nel suo significato autentico. Attraverso il dono totale di sé sulla croce, che la risurrezione permette di comprendere come manifestazione di Dio stesso, Gesù ha rivelato un Dio che è solo amore e nient’altro che amore. Ha rotto per sempre il muro di separazione tra Dio e gli uomini mostrando come non ci sia nulla in grado di ostacolare l’amore di Dio per noi, nessuna sofferenza umana che Dio non abbia attraversato e riempito del suo amore: è quello che normalmente affermiamo dicendo che Cristo ci salva dal peccato e dal male. Ha infine aperto all’umanità la possibilità di vivere nell’amore di Dio, divenendo amore a nostra volta, capaci di amare come Dio stesso ama: diventando così autenticamente e pienamente Figli di Dio. E come scrive Paolo nella lettera ai Romani, “se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm 8,17). In questo senso la risurrezione di Gesù è anticipazione e promessa della nostra risurrezione: è quanto affermiamo dicendo che Cristo ci salva dalla morte, pur senza avere possibilità di decifrare con chiarezza cosa concretamente significherà risorgere.

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