La promessa ad Abramo

1) Origine di Abram e primo incontro con Dio

Alla fine del capitolo 11 del libro della Genesi entra in scena Abram, il capostipite del popolo di Israele…

11,27Questa è la discendenza di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran; Aran generò Lot. 28Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei29Abram e Nacor presero moglie; la moglie di Abram si chiamava Sarài e la moglie di Nacor Milca, che era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. 30Sarài era sterile e non aveva figli. 31Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè di suo figlio, e Sarài sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nella terra di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. 32La vita di Terach fu di duecentocinque anni; Terach morì a Carran.
12,1 Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. 2Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». 4Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. 5Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan 6e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei. 7Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra».

(Gen 11,27-12,7)

Ricordiamo anzitutto come questi racconti siano ambientati molto indietro nel tempo (se volessimo collocare la vicenda di Abram da un punto di vista cronologico dovremmo risalire al 1800 a.C.), tuttavia sono scritti dopo il ritorno di Israele dall’esilio babilonese, nel V secolo. Questo, si è visto nel modulo sulla storia di Israele, è il momento in cui la fede di Israele giunge alla sua maturazione definitiva, potremmo dire che la fede matura di Israele nasce a Babilonia. Da questo punto di vista è interessante notare come proprio nel testo in cui compare per la prima volta Abram troviamo citata la Mesopotamia: Abram, il capostipite di Israele, colui da cui il popolo ebraico discende, proviene dalla terra tra i due fiumi. Non si può non vederci la testimonianza, ben chiara all’autore di Genesi, del fatto che la fede di Israele nasce a Babilonia, nell’esperienza dell’esilio.

Chi è Abram? Ci viene presentato come un capotribù nomade delle regioni tra la Mesopotamia e Canaan. Ormai anziano, non ha potuto avere figli in quanto la moglie, Sarai, era sterile. Proviamo ad immedesimarci nel vissuto di quest’uomo. Se avesse dovuto fare un bilancio della sua vita probabilmente l’avrebbe trovata fallimentare. Un’esistenza senza una patria e senza una discendenza. Un’esistenza sterile, che non tramanderà nulla, fatta di rimpianti e desideri irrealizzati.

È a quest’uomo che, secondo il racconto biblico, Dio sceglie di rivolgersi per dare inizio alla sua storia di alleanza con gli uomini. Dio non sceglie uomini realizzati, uomini in posizione di forza: sceglie un anziano deluso dalla vita. E si rivolge a lui utilizzando due registri: il comando e la promessa.

Il comando: “Vattene!”. Se vuoi uscire dalla situazione in cui sei devi metterti in moto, non puoi rimanere fermo lì dove sei. Anche se rimettersi in cammino costa fatica, anche se a volte nella nostre delusione e nel nostro dolore troviamo rifugio. Se vuoi una vita nuova devi lasciare le sicurezze che hai, “la tua terra, la casa di tuo padre”. La grandezza di Abram è anzitutto accettare di partire di nuovo, rimettendosi in discussione.

La promessa: “Alla tua discendenza io darà questa terra”. Dio ad Abram promette di realizzare quei desideri che portava da sempre nel cuore e considerava ormai perduti: una terra e una discendenza. Un primo aspetto da notare è come la volontà di Dio non sia arbitraria, Dio non entra nella nostra vita portandola altrove rispetto a ciò che desidera e sogna. Dio è colui che ci conduce alla realizzazione del desiderio che abita il nostro cuore: questo desiderio è la vocazione di Dio per noi. In secondo luogo, la promessa di Dio ha a che fare con ciò che appare impossibile alla logica umana: la logica di Dio è diversa dalle nostre logiche limitate e calcolatrici. In terzo luogo, la promessa di Dio è una promessa di benedizione per la vita: è il Dio per la vita. Dio ad Abram non chiede nulla per sé stesso: non gli chiede un rito, una preghiera, il rispetto di un comandamento… Dio si propone come colui che si offre di rendere migliore la vita di Abram: è Dio che fa qualcosa per l’uomo, non è l’uomo che fa qualcosa per Dio.
Due considerazioni da questo punto di vista. La prima è la diversità di questa prospettiva da tutte quelle rappresentazioni della divinità intesa come qualcuno che vuole essere venerato perché conceda il suo favore e non scateni la sua ira. Non c’è nulla di tutto questo nella fede di Israele. Israele quando pensa a Dio pensa anzitutto a colui dal quale ha ricevuto tutto, a cui deve la propria esistenza. È il Dio che dona gratuitamente e offre l’alleanza. La seconda considerazione riguarda più il nostro modo di rapportarci a Dio e pensare alla relazione con lui: o anche per noi la relazione con Dio è qualcosa che, ci rendiamo conto, migliora la nostra esistenza – la rende più bella, più ricca, più feconda, più libera – oppure non ha senso di esistere. Prospettiva per niente scontata: molto spesso infatti dai ragazzi, soprattutto nell’età dell’adolescenza, la religione viene percepita come qualcosa di imposto, a cui si deve far fronte. Non è questa la prospettiva corretta di un percorso di fede. La sfida per noi educatori è riuscire a far vedere ai ragazzi cosa la fede dona alla vita, quale marcia in più è in grado di far ingranare alla vita. Solo così la fede diventa qualcosa di desiderabile.

Abram, conto ogni logica umana e ogni calcolo, si fida. Si fida di una promessa impossibile e parte. Se si fosse fermato a fare il calcolo delle probabilità, probabilmente non si sarebbe mai messo in viaggio. Ma la forza del desiderio che porta nel cuore lo spinge, vince ogni logica e lo sospinge a mettersi incamminarsi ancora una volta. Chissà se davvero Abram aveva fiducia che quella promessa si sarebbe realizzata… Probabilmente però aveva in ogni caso capito che quando si tratta di desidero, ciò che importa non è il traguardo, ma il cammino: è camminare alla sequela del Desiderio che dà senso alla vita. Per questo Abram parte.

2) Crisi e conferma dell’alleanza

Per quanto partire, rimettersi in cammino, costi fatica, la vera sfida arriva dopo e si chiama costanza. Abram passa dall’Egitto, discute e si separa dal nipote Lot, si ritrova immischiato nelle battaglie dei sovrani locali… ma di ciò che Dio gli aveva promesso, neanche l’ombra. E Abram vive un momento di crisi, di sconforto. E quando Dio gli si avvicina rinnovandogli la promessa, Abram sbotta.

1Dopo tali fatti, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». 2Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Elièzer di Damasco». 3Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». 4Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». 5Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». 6Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. 7E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». 

(Gen 15,1-7)

Dalla risposta che Dio dà ad Abram emerge come Dio non abbia paura dell’impazienza e della delusione di Abram. Le ha messe nel conto. Conosce chi ha chiamato e lo accompagna tenendolo per mano. Di fronte alla fatica del cammino, allo sconforto di Abram, Dio non smette di indicare la meta, di rinnovare la promessa. E lo fa con un gesto che più di ogni altro esprime la speranza e il desiderio dell’uomo: indica un cielo stellato e dice, “conta le stelle, tale sarà la tua discendenza” (v. 5). Nella lingua italiana la parola desiderio (de-sidera) significa “mancanza di stelle”. A dire come da sempre il desiderare umano, lo sperare qualcosa di più, di grande, di pieno, trovi rappresentazione nella contemplazione del cielo stellato, in quell’attrazione irresistibile che ci coglie verso quella cascata di luci nel firmamento. La promessa di Dio dice ad Abram che quella speranza, quel desiderio non è un’illusione irraggiungibile, ma troverà realizzazione tramite l’alleanza con lui. La fede è ciò che permette di realizzare nel profondo ciò verso cui il desiderare umano tende.

Interessante come nel v. 7 vi sia un’espressione che suona quasi impropria: “Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei”. È la stessa espressione che verrà utilizzata dopo la liberazione dall’Egitto: altra dimostrazione di come Ur, Egitto e Babilonia nell’esperienza di Israele siano sovrapponibili: l’esperienza di riferimento è sempre ciò che è avvenuto durante l’esilio.

3) Nome nuovo e circoncisione

Dopo il momento di sconforto vissuto da Abram nel capitolo 15 e il rinnovo della promessa da parte di Dio, ci aspetteremmo che finalmente tutto fili liscio, con Abram che si rimette in cammino, fiducioso nella parola di Dio. Ma non è così. La storia dell’alleanza, del rapporto di fiducia tra Dio e gli uomini è più complessa. Dio resta fedele, gli uomini avanzano tra mille dubbi e mille titubanze. Così, subito dopo l’incanto del cielo stellato, troviamo – nel capitolo 16 – Abram che, istigato da Sarai, acconsente ad unirsi alla schiava Agar per avere da lei un figlio: visto che la promessa grande di un figlio da Sarai, che rappresenterebbe la più completa realizzazione del desiderio di Abram, tarda a realizzarsi, Abram cerca di arrangiarsi come può per assaporare almeno le briciole del suo desiderio. Succede così anche a noi: quando l’orizzonte ci sembra troppo lontano, inarrivabile, iniziamo a fare compromessi con la nostra felicità, per ottenerne almeno un po’. Così Agar partorisce ad Abram un figlio, Ismaele.
Ci si può soffermare un momento su Ismaele, soprattutto per mettere in luce come egli sia considerato il capostipite del popolo arabo. Per questo la figura di Abramo è riconosciuta e venerata sia dal popolo ebraico (e quindi dal cristianesimo che sgorgherà dall’ebraismo), sia dal popolo arabo e in particolare dall’Islam. Crisitanesimo, ebraismo e Islam sono per questo definite le tre religioni abramitiche.

Come reagirà Dio all’iniziativa di Abram di non aspettare il compimento della promessa, scegliendo di avere un figlio da Agar?

1Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio l'Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. 2Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso». 3Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: 4«Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. 5Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò. 6E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. 7Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. 8La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio». 9Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. 10Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. 11Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi.

(Gen 17,1-11)

Ci aspetteremmo quanto meno un rimprovero da parte di Dio. Invece nulla di tutto questo. Perché gli uomini sono impazienti e infedeli, ma Dio lo sa, lo ha già messo nel conto: nessuna azione umana può impedire a Dio di continuare a essere benevolo con noi, a mantenere le sue promesse, perché Dio, a differenza degli uomini, è fedele. Lo vediamo con chiarezza nel capitolo 17, quando troviamo di nuovo Dio che si rivolge ad Abram: non solo rinnova nuovamente la promessa – senza fare alcun accenno alla “scorciatoia” che Abram ha cercato di prendere – ma pone due segni che legano ancor di più Dio ed Abram: il cambio del nome e la circoncisione.

Il cambio del nome ha il significato di conferire una nuova identità. Abram è ora Abramo, è una persona nuova. In cosa consiste la novità? Cosa fa sì che Abram non sia più quello di prima e diventi Abramo? La relazione con Dio. La relazione con Dio agisce dentro di noi, pur nella contraddittorietà della nostra vita, plasma il nostro cuore e ci rende creature nuove: ci fa sentire in un modo nuovo, pensare in un modo nuovo, agire in un modo nuovo. O la fede arriva a questo livello, oppure rimane una fede superficiale, che serve a poco.

Il secondo segno è la circoncisione, per Abramo e per la sua discendenza. La promessa di Dio non si ferma ad Abramo ma si estende a tutti i suoi figli, di generazione in generazione. E il segno dell’alleanza tra Dio e la discendenza di Abramo è iscritto nella carne. La circoncisione non va letta come un comando che Dio dà ad Abramo, quasi che Dio chieda ad Abramo qualcosa in cambio, un pagamento, per l’alleanza con lui. La circoncisione va invece intesa come un segno che Dio dona ad Abramo, il segno di un’alleanza talmente indelebile da andare a incidere nella carne della sua discendenza. La circoncisione dice: tra Dio e la discendenza di Abramo c’è un patto di sangue che nulla potrà mai scalfire.

Abramo attraverserà ancora diverse vicende prima che si compia la promessa di un figlio da Sara, Isacco, capostipite del popolo ebraico. La promessa della terra invece Abramo non la vedrà realizzata. Alla sua morte possederà solamente il campo dove aveva seppellito Sara, sua moglie, e dove verrà a sua volta sepolto. È importante sottolineare questo aspetto: la promessa di Dio non riguarda solo noi. La promessa di Dio non è per il singolo ma per un popolo. Travalica i secoli e le generazioni e accompagna la storia dell’umanità nel suo dispiegarsi. La promessa ad Abramo, promessa di fecondità, che viene incontro al nostro desiderio facendolo esplodere così che la benedizione in essa insita si tramandi di generazione in generazione, è la stessa promessa che Dio rivolge agli uomini di ogni epoca, anche a noi oggi.

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