1) Israele in Egitto e il ruolo delle donne
Facciamo un salto in avanti di 400 anni, e ritroviamo Israele, divenuto ormai un popolo numeroso, in Egitto. Vi è giunto accolto da Giuseppe (figlio di Giacobbe, a sua volta figlio di Isacco) a conclusione della straordinaria vicenda (descritta in Genesi 37-48) che lo vede passare da schiavo venduto dai fratelli a braccio destro del faraone.
Dopo 400 anni gli egiziani non ricordano più il bene fatto da Giuseppe all’Egitto e Israele è ormai considerato un problema: è diventato troppo numeroso, tanto da rappresentare una minaccia per gli egiziani. Così il faraone decide di ridurre in schiavitù gli ebrei e uccidere ogni figlio maschio nato da donna discendente di Israele.
Leggo normalmente coi ragazzi i primi tre capitoli del libro dell’Esodo, che contestualizzano la vicenda e presentano la figura di Mosè. Mi soffermo anzitutto su un dettaglio secondo me significativo: protagoniste dell’avvio del libro dell’Esodo sono le donne. Anzitutto le levatrici egiziane, che, con una scusa, si rifiutano di eseguire l’ordine di uccidere i nuovi nati degli ebrei.
15Il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua: 16«Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere». 17Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini. 18Il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?». 19Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità. Prima che giunga da loro la levatrice, hanno già partorito!». 20Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. 21E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una discendenza.
(Es 1,15-21)
E poi le tre donne che rendono possibile l’esistenza di Mosè: la madre, che lo abbandona in un cesto nel Nilo, la figlia del faraone, che contravvenendo all’ordine del padre salva il bambino dalle acque (il nome “Mosè” significa “salvato dalle acque”) e lo cresce, e Miriam, la sorella di Mosè, che segue il cesto e suggerisce alla figlia del faraone la madre di Mosè come nutrice.
1Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi. 2La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. 3Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese per lui un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. 4La sorella del bambino si pose a osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. 5Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. 6L'aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione e disse: «È un bambino degli Ebrei». 7La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?». 8«Va'», rispose la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. 9La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario». La donna prese il bambino e lo allattò. 10Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli fu per lei come un figlio e lo chiamò Mosè, dicendo: «Io l'ho tratto dalle acque!».
(Es 2,1-10)
Per quanto spesso nella Bibbia troviamo racconti in cui la donna è succube del dominio maschile, che caratterizzava la società nella quale questi racconti sono scritti, in essa troviamo anche passi in cui la figura della donna è decisiva. Questo è senz’altro uno di quelli. Se queste tre donne non avessero messo in campo quella compassione (esplicitata per la figlia del faraone) capace di vincere l’ingiustizia e dare vita là dove avrebbe dovuto esserci morte, Mosè non sarebbe sopravvissuto, Israele non sarebbe stato liberato. La storia della salvezza passa in modo decisivo dallo sguardo d’amore e di compassione di donne come queste.
2) Mosè: giovinezza e vocazione attraverso un gioco di ruolo
Proseguo la lettura del testo che descrive le vicende di Mosè giovane (che spesso i ragazzi già conoscono avendo più o meno tutti visto, a catechismo o alle elementari, “Il principe d’Egitto“): la ribellione di fronte alle ingiustizie sofferte dal suo popolo, l’uccisione dell’egiziano (Es 2,11-15), la fuga a Madian (Es 2,15), l’incontro con le figlie di Reuel, che salva dalla prepotenza dei pastori locali (Es 2,16-17) e la nuova vita che Mosè si costruisce nella terra di Madian, sposando Sippora, dalla quale ha un figlio, e vivendo pascolando il gregge del suocero (Es 2,18-22). Di questa fase della vita di Mosè sottolineo soprattutto un aspetto: il suo desiderio di giustizia, che si esprime prima nella reazione contro l’oppressione del suo popolo ad opera degli egiziani e poi nell’episodio dell’incontro con le figlie di Reuel, che libera dai pastori che le insidiavano. Mosè è un uomo che porta dentro il fuoco della giustizia e prova a realizzarla. Fallendo, nel caso del suo popolo.
Di Mosè non avremmo probabilmente più sentito parlare se, come nota l’autore di Esodo al termine del capitolo 2, gli israeliti non avessero iniziato a levare il proprio lamento verso Dio e Dio non si fosse deciso a venire in soccorso del suo popolo. E per salvare il suo popolo Dio pensa proprio a Mosè.
1Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. 2L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». 6E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. 7Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo dal potere dell'Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Ittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. 9Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10Perciò va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!».
(Es 2,23-25)
In questo episodio famosissimo (Es 3,1-10) Mosè, incuriosito (Mosè è curioso! Non è indifferente a quello che gli accade, vuole capire, vuole scoprire: questo lo renderà grande!) si avvicina. Dio gli parla dal roveto, si rivela come “il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”: è il Dio che aveva promesso una terra e una discendenza ad Abramo e non si è dimenticato della sua parola, vuole realizzarla, riconducendo il suo popolo nella terra promessa. Ha ascoltato il grido di Israele schiavo in Egitto e chiede a Mosè di tornare per liberarlo.
A questo punto propongo ai ragazzi un gioco di ruolo. Sì perché se si andasse avanti a leggere fino alla fine del capitolo 3 e per più della metà del capitolo 4, ci si troverebbe davanti a un botta e risposta tra Dio e Mosè, perché Mosè di tornare in Egitto a salvare il suo popolo non ne vuole sapere proprio e accampa mille scuse con Dio. Il gioco che propongo ai ragazzi è di mettere in scena il dibattito tra Dio e Mosè. Loro faranno Dio e io, l’insegnante, farò Mosè. I ragazzi devono cercare di convincermi ad accettare la missione che lui propone. Questo gioco ha la finalità di far riflettere i ragazzi sull’idea che hanno di Dio. Nel loro tentativo di convincermi cercheranno di utilizzare tutti i modi possibili: la minaccia di una punizione se non farò come dice, il senso di colpa per la mia indifferenza nei confronti dei miei fratelli, ragionamenti più o meno articolati sul fatto che in è moralmente giusto che io accetti, sul fatto che in fondo io devo tutto a Dio, senza di lui non sarei nulla… Ciascuna di queste risposte racchiude una specifica immagine di Dio, che i ragazzi hanno in mente. È importante da questo punto di vista fermare ogni tanto il gioco e far riflettere i ragazzi sulle loro risposte: davvero pensate che Dio sia così come dite? Cosa vuole Dio da noi? Cosa ci chiede e perché ce lo chiede? Da parte mia ribatterò esprimendo il punto di vista di Mosè: non ne ho voglia, sono vecchio, ho una famiglia, dei figli. Non posso lasciare tutto per seguirti in questa pazza impresa. E poi, non potevi pensarci prima? Io ci ho provato quando ero giovane a fare qualcosa per il mio popolo, ho addirittura ucciso un egiziano. E tu dov’eri? Perché non mi sei stato vicino allora? Perché hai lasciato che io scappassi e mi allontanassi da tutte le persone a cui volevo bene? Sparisci, ti ripresenti dopo decenni e pretendi che io ti segua senza proferire parola? Trovati qualcun altro, qualcuno che sia più adatto, più giovane, più sensibile…
Alla fine, se i ragazzi non sono arrivati, ragionando, a formulare una risposta che vada nella direzione corretta (spesso ci riescono!) dico loro come avrei cercato io di convincere Mosè. Gli avrei detto che, è vero, tu ci avevi provato a fare qualcosa per il mio popolo, e io ho visto quello che hai fatto. Perché tu portavi dentro di te un senso di giustizia fortissimo, il desiderio di lottare contro l’ingiustizia e l’oppressione. E se guardi dentro il tuo cuore, puoi vedere che quel desiderio è ancora vivo. È nascosto, forse te lo eri dimenticato. È quel desiderio che pensavi non avresti ormai più potuto realizzare, che ti sei rassegnato a dimenticare… Per questo ho scelto te. Non perché non abbia nessun altro a cui chiedere, ma per darti la possibilità di realizzare il tuo desiderio, il desiderio della tua vita. Come ho fatto con Abramo, che era anziano e senza figli e ho fatto diventare capostipite di un popolo numeroso. E poi tu hai delle caratteristiche che ti rendono ideale per questo compito: sei ebreo ma sei cresciuto con gli egiziani, che conosci meglio di chiunque altro. Perché ho aspettato tanto prima di rivolgermi a te? Perché è in questo ultimo tempo che il popolo di Israele ha levato il proprio grido e mi ha chiesto aiuto (Es 2, 23-25), per questo mi sono deciso a liberarlo.
Questo è il Dio che la Bibbia ci consegna: non un Dio che impone la propria volontà, che minaccia, che pretende… è il Dio che sta dalla parte del nostro desiderio, che ci propone di seguirlo, non perché è giusto, non perché si deve, ma perché è l’occasione per realizzare ciò che più rende piena, bella e felice la nostra vita.
3) Mosè in Egitto e la Pasqua
Proseguo il percorso raccontando – non leggendo – il prosieguo della vicenda: l’arrivo di Mosè in Egitto, il confronto con il faraone, le dieci piaghe… fino all’ultima piaga, quella della morte dei primogeniti. Faccio qui notare l’ironia dell’autore di Esodo: l’ultima piaga coincide con quanto il faraone aveva comandato di fare agli ebrei, uccidere i figli maschi. Giungo così al racconto della Pasqua ebraica, leggendo il testo di Esodo 12, in cui Mosè dà al popolo le indicazioni per celebrarla.
1Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d'Egitto: 2«Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. 3Parlate a tutta la comunità d'Israele e dite: «Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. 4Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. 5Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre 6e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. 7Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case nelle quali lo mangeranno. 8In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. 9Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere. 10Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato, lo brucerete nel fuoco. 11Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! 12In quella notte io passerò per la terra d'Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d'Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! 13Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d'Egitto. 14Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne.
(Es 12,1-14)
Nel racconto troviamo gli elementi fondamentali della celebrazione della Pasqua ebraica (che a differenza di quella cristiana, che celebra la risurrezione di Gesù, è memoria della liberazione di Israele dall’Egitto: sembra scontato ma non a tutti è chiara la differenza). Questi elementi sono ancora presenti nella celebrazione della Pasqua di Israele oggi: l’agnello, gli azzimi, le erbe amare… Tutti simboli che hanno influito moltissimo sulle tradizioni culturali legate alla Pasqua anche in ambito cristiano. Gli ebrei celebrano la Pasqua attraverso una cena in famiglia: a differenza dei cristiani, che celebrano ogni festività in chiesa, l’ebraismo ha mantenuto alcuni riti che si svolgono in famiglia. Durante la cena pasquale il più piccolo della famiglia rivolge al più anziano le domande sul motivo per cui si celebra questa festa, e il più anziano racconta la storia della liberazione del popolo dall’Egitto, una memoria che così passa di generazione in generazione.
Concludo il modulo raccontando, o leggendo, la conclusione della fuga di Israele dall’Egitto, il famosissimo episodio del passaggio attraverso il mar rosso (narrato in Esodo 14), attraverso il quale l’autore di Esodo mette in luce la potenza e la determinazione con cui Dio ha liberato il suo popolo. La Pasqua, insieme alla vicenda di Abramo, è per Israele l’evento fondante della propria fede: Israele crede in un Dio che ha promesso una terra e una discendenza ad Abramo; la promessa della discendenza è mantenuta da subito, quella della terra molto tempo dopo. Per prestar fede alla sua parola, Dio è venuto in soccorso del suo popolo schiavo in Egitto, per condurlo alla terra promessa. Israele ha fede in un Dio a cui deve tutto: la sua esistenza, la salvezza quando si è trovato schiavo in terra straniera, la propria terra. Come dicevamo nel modulo dedicato alla storia di Israele, i testi della Torah, tra cui il libro dell’Esodo, sono scritti dopo il ritorno di Israele dall’esilio a Babilonia, vicenda che, come l’Esodo, ha come protagonista un popolo schiavo in terra straniera a cui è concesso di tornare nella propria terra. Questi testi descrivono la fede del popolo propria di questo specifico momento, narrandola attraverso racconti ambientati molti secoli prima. L’autore di Esodo parla dell’Egitto ma pensa a Babilonia.