1) Presentazione del protagonista
Il Vangelo di Marco si apre con una presentazione solenne del personaggio protagonista del racconto.
1 Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
(Mc 1,1)
L’identità di Gesù è subito dichiarata a partire da ciò che la fede cristiana crede di lui. Potremmo anche dire, a partire da ciò che tutta la vicenda di Gesù, e in particolare la sua fine di morte e risurrezione, svelano di lui: ci viene presentato da subito ciò che si scoprirà solo alla conclusione della storia. Emerge quanto dicevamo nel modulo dedicato ai Vangeli: i Vangeli rileggono la vicenda di Gesù alla luce della risurrezione, del kèrigma: Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, ed è questo il contenuto della buona notizia (vangelo) che l’autore del libro dichiara di voler comunicare al lettore del libro. Parafrasando il testo del primo versetto potremmo riscriverlo così: stai iniziando a leggere la buona notizia che Gesù, in quanto Cristo e Figlio di Dio, rappresenta per la tua via.
I due titoli riferiti a Gesù che troviamo qui sottolineano due tratti specifici della fede cristiana: Cristo (dal greco “unto”) è la traduzione di “Messia”, come abbiamo visto nella lezione sul messianismo: per i cristiani Gesù è anzitutto il Messia atteso da Israele. Figlio di Dio mette invece in luce il legame tra Gesù e Dio stesso. L’identificazione tra Gesù e il Figlio di Dio è interpretata in modi diversi nel Nuovo Testamento ed è un concetto che conosce un’evoluzione nel tempo. Solo nei concili del IV e V secolo si arriverà a una definizione della questione nel dogma della trinità e della piena umanità e divinità di Cristo: Gesù è così associato alla seconda persona della trinità (il Figlio) ed è riconosciuto come pienamente uomo e pienamente Dio. Abbiamo cercato di capire come interpretare questi due dogmi della Chiesa nella lezione introduttiva al cristianesimo e all’inizio del percorso sulla vicenda di Gesù nei Vangeli.
2) Il battesimo
Dopo questa presentazione solenne del protagonista ci aspetteremmo che Gesù entri in scena e inizi ad operare tutto quello che ci si aspetta da un Messia Figlio di Dio… Invece il racconto si sposta su un altro personaggio.
4Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico.
(Mc 1,4-6)
Chi era Giovanni Battista? La descrizione che ce ne fanno i Vangeli è singolare: un uomo che vive nel deserto, vestito di peli di cammello, mangiando cavallette. Molte ipotesi sono state fatte su perché vivesse in questo modo, quello che è chiaro è che la sua è una scelta di carattere religioso. Era probabilmente appartenente a una delle moltissime sette ebraiche che troviamo nel giudaismo del primo secolo. Ciò che caratterizza la sua attività è una predicazione di carattere apocalittico, ossia incentrata sul giudizio di Dio imminente per affrontare il quale è necessario pentirsi dei propri peccati, e il gesto del battesimo. Quest’ultimo non era uno dei riti ufficiali dell’ebraismo, non appartiene alla tradizione ebraica. È introdotto da queste sette religiose come gesto attraverso il quale chiedere perdono per i propri peccati, un gesto penitenziale di richiesta di perdono.
Il cristianesimo farà suo questo gesto cambiandogli però il significato, che, a differenza di quanto i ragazzi normalmente sanno dai tempi del catechismo, in origine non ha niente a che vedere con il cosiddetto “peccato originale”: il Battesimo nelle comunità della Chiesa primitiva è il rito attraverso il quale si viene introdotti nella comunità cristiana e nella fede in Gesù. Esso rappresenta una nuova nascita alla vita – da qui il cambio del nome – attraversando l’esperienza della morte e della risurrezione di Gesù: il gesto dell’immersione nell’acqua – in origine il battesimo prevedeva l’immersione completa – rappresenta il morire dell’uomo vecchio con Gesù e l’essere sepolti con lui; l’emergere dall’acqua è invece simbolo della nuova nascita che la risurrezione rende possibile: nasce l’uomo nuovo, l’uomo cristiano, “risorto con Cristo” che d’ora innanzi vive alla sequela di Gesù. È la visione che troviamo esplicitata nella lettera di Paolo ai Romani.
3O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.
(Rm 6,3-4)
Interessante notare come in questa prospettiva la risurrezione non è semplicemente qualcosa che avverrà alla fine dei tempi, qualcosa che riguarda la vita dopo la morte. Per la fede cristiana con il Battesimo noi siamo già risorti! Accogliere la buona notizia di Gesù e vivere con lui è vivere da risorti. La fede cristiana è anzitutto per l’oggi.
Ma torniamo al primo capitolo di Marco. Dopo la solenne presentazione di Gesù in apertura, la scena si sposta su Giovanni, che alimenta ulteriormente la nostra attesa di lettori di conoscere finalmente il protagonista del racconto, quando esclama:
«7Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
(Mc 1,7-8)
Tutto quello che ci viene preannunciato di Gesù in questi primi otto versetti del Vangelo di Marco è grandioso, trasuda gloria e santità. Rimaniamo perciò un po’ delusi a leggere il versetto 9:
9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.
(Mc 1,9)
“Ma è proprio lui?” viene da chiederci. Da Nazareth? Nazareth era un villaggio del tutto sconosciuto, si pensi che nell’Antico Testamento Nazareth non è nominato neanche una volta. Il Messia non doveva venire da Betlemme? Come è possibile che il Figlio di Dio venga da quel buco di posto? Ma soprattutto: perché se è il Messia, il Figlio di Dio, si mette in fila con i peccatori per farsi battezzare? Il primo gesto che ci viene raccontato di Gesù è il battesimo: Gesù che chiede perdono per i propri peccati. Non propriamente l’ingresso in scena trionfale che ci saremmo aspettati. Che senso ha tutto questo? Provo a chiederlo ai ragazzi e a discuterne insieme, sottolineando come, nel Vangelo di Matteo, ad esempio, lo stupore per Gesù che si fa battezzare emerge direttamente dal racconto nella reazione di Giovanni Battista:
14Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?
(Mt 3,14)
È lo stesso Giovanni a rimanere spiazzato! Marco qui fa fare al lettore questa stessa esperienza di spiazzamento. La nostra aspettativa va in una certa direzione, ma ci viene presentato qualcosa di completamente diverso. Questa esperienza, potremmo dire, è un passaggio obbligato nell’approccio alla figura di Gesù, all’epoca del racconto come per noi oggi. Di fronte a Gesù l’esperienza che i suoi connazionali hanno fatto è caratterizzata da questo spiazzamento: come può il Messia Figlio di Dio venire da Nazareth? Come può il Messia Figlio di Dio farsi battezzare? Come può il Messia Figlio di Dio mangiare insieme alle prostitute? Come può il Messia Figlio di Dio non interessarsi minimamente di politica e rivolte? Come può il Messia Figlio di Dio morire sulla croce? Marco così ci mette subito davanti come Gesù sia un Messia diverso dalle attese, un Figlio di Dio che non ci aspetteremmo.
Il battesimo di Gesù da questo punto di vista è paradigmatico di tutta la sua vicenda. Anche per un secondo motivo: il modo attraverso il quale Gesù sceglierà di incarnare il Messia Figlio di Dio sarà, sorprendentemente, quello di condividere, vivere in prima persona, la vita degli ultimi e dei peccatori. Questo tratto lo troviamo lungo tutta la sua vicenda, fino alla fine, fino alla morte di croce che era riservata ai peggiori malfattori. Il battesimo, gesto dei peccatori, è già segno di questa prospettiva che Gesù sceglie per compiere la propria missione.
Il proseguo del racconto è un capolavoro narrativo: Marco prima suscita in noi l’attesa di un personaggio straordinario, poi delude questa attesa presentandoci al suo posto un peccatore qualunque e, a questo punto, rende questo uomo qualunque protagonista di un segno grandioso:
10E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
(Mc 1,10-11)
Fermi tutti, verrebbe da dire! Accade l’impensabile: un peccatore pentito (Gesù qui ci è presentato così!) viene indicato da Dio come “il Figlio mio, l’amato”. Emerge e viene espressa qui la dimensione paradossale che caratterizzerà tutta la vicenda di Gesù: dirà Paolo, “Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per chi crede è potenza, sapienza di Dio!” (1Cor 1,24). Il modo scelto da Gesù per compiere la sua missione, farsi come i peccatori, è del tutto inatteso e scandaloso, ma è esattamente questa modalità che, messa in campo per la prima volta da Gesù nel battesimo, riceve la più alta approvazione da parte di Dio: “Tu – che ti sei fatto come i peccatori – sei il Figlio mio, l’amato”. Emerge in controluce il tema del discernimento che Gesù compie rispetto al modo di compiere la sua missione, come vedremo tra poco.
Da ultimo, questa vicenda è paradigma anche di ciò che costituisce uno dei cardini della buona notizia che Gesù porterà nel mondo: il peccatore diventa figlio amato, ossia, Dio ama i peccatori. Sarà questa l’essenza di tutta la predicazione di Gesù.
3) Le tentazioni
Il racconto si con conclude in Marco con una semplice notazione:
12E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto 13e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
(Mc 1,12-13)
L’episodio delle tentazioni, che Marco liquida in due righe, gli evangelisti Matteo e Luca lo sviluppano maggiormente, permettendoci di cogliere la rilevanza di ciò che lì avviene. Leggo normalmente la versione di Matteo.
1Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». 5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». 7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». 8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». 11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
(Mt 4,1.11)
Il racconto è ambientato nel deserto e in apertura ci viene detto che Gesù, nel deserto, digiuna quaranta giorni e quaranta notti. Faccio notare come il racconto sia senza dubbio simbolico. Digiunare quaranta giorni nel deserto è qualcosa di assolutamente impossibile, basti pensare che una modalità di suicidio che la Bibbia ci testimonia (ad esempio in 1Re 19,4) consisteva nell’addentrarsi per un giorno di cammino nel deserto senza cibo né acqua: era sufficiente questo per morire. Perché l’evangelista ci propone un racconto così inverosimile? Ciò che va colta è la sua dimensione simbolica: il riferimento al deserto e al numero 40, mette questo episodio direttamente in connessione con il cammino del popolo di Israele nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto, che, la Bibbia ci dice, è durato 40 anni. Perché questa connessione? Cosa ci dice? Ci dice qualcosa di ciò che sta vivendo Gesù. Il tempo del deserto è un tempo tra un già (la liberazione dall’Egitto) e un non ancora (l’ingresso nella terra promessa), è un tempo di prova e di dubbio. Anche Gesù è tra un già e un non ancora: con il battesimo ha fatto il primo passo, ma non ha ancora iniziato a compiere la sua missione. Ed è nel dubbio.
Per comprendere quello che Gesù sta vivendo dobbiamo immedesimarsi nel suo vissuto. Gesù un po’ alla volta comprende di avere una missione da compiere, una missione che ha a che fare con la sua esperienza singolare di Dio, il Padre suo. Questa esperienza sente l’esigenza di comunicarla, di annunciarla, mostrando agli uomini il vero volto di Dio, donando loro la fede in un Padre che li ama. La domanda che lo tormenta è: come fare per portare Dio agli uomini? Gesù ci mette trent’anni a rispondere, i primi trent’anni della sua vita. Intuisce che l’esperienza di Dio che vive lo conduce verso la condivisione della stessa sorte degli ultimi e dei peccatori. Finalmente, mettendosi in fila con i peccatori per farsi battezzare, compie il primo passo in questa direzione e riceve da Dio la conferma che quella è la strada giusta. Sembrerebbe tutto pronto ormai, con Gesù che può finalmente iniziare la sua missione… Ma fatto il primo passo, Gesù è assalito da mille dubbi. Per spiegare quello che Gesù vive faccio questo esempio ai ragazzi: è come quando vi piace una persona e vi rendete conto che siete innamorati, che volete stare con lei. Quello che cercate di fare è trovare il modo di fare il primo passo. La stalkerate sui social, cercate di ottenere il suo numero e, finalmente, vi decidete a mandarle il primo messaggio. Cosa succede normalmente? Che un secondo dopo averlo inviato vi assalgono mille dubbi!! Sono stato chiaro? Non sarò stato troppo esplicito? Non è che poi fraintende… Che poi normalmente nel messaggio avete scritto “Ciao”!
Senza cadere nella banalizzazione, Gesù vive questo stesso tipo di esperienza: ha fatto il primo passo e viene assalito dai dubbi. E i dubbi, le tentazioni, per come ce le descrive Matteo, riguardano esattamente la domanda di Gesù su quale sia il modo migliore di compiere la sua missione. Nel racconto delle tentazioni il diavolo propone a Gesù dei modi alternativi di essere Messia: è l’espediente narrativo attraverso il quale viene messo in scena il dubbio e l’indecisione di Gesù, che ci permette di percepirlo molto vicino al nostro vissuto.
Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù, affamato, di trasformare le pietre i pezzi di pane. Gesù è tentato di fare il Messia proponendosi di intervenire direttamente sui bisogni delle persone: c’è qui l’immagine di un Dio che “risolve i problemi” intervenendo direttamente nella storia. Pensate se avesse accettato: avremmo risolto il problema della fame nel mondo! Ma non è questo il modo attraverso il quale il Dio di Gesù agisce, non è questo il suo ruolo dentro la nostra vita (sarebbe interessante riflettere sulle ricadute che questo concetto può avere sul tema della preghiera). Ma attraverso i miracoli Gesù non va esattamente in questa direzione? È un’obiezione che i ragazzi spesso mi rivolgono. La risposta è no. Lo vedremo in seguito, ma i miracoli non sono fatti da Gesù semplicemente per risolvere un problema. Hanno un altro significato.
Nella seconda tentazione Gesù è tentato di compiere un gesto straordinario: buttarsi dalla torre del tempio e sopravvivere. Chi non avrebbe seguito e venerato qualcuno capace di un simile prodigio? Ma non attraverso segni prodigiosi che Gesù vuole essere ascoltato. Gli stessi miracoli non hanno questo significato. Gesù sceglierà una strada completamente diversa.
La terza tentazione riguarda il tema del potere. Vi siete mai chiesti perché, potendo scegliere, Dio si sia incarnato in un uomo di un villaggio sperduto alla periferia dell’impero e non, ad esempio, nel figlio dell’imperatore di Roma? Non avrebbe avuto più possibilità di farsi ascoltare e diffondere il suo messaggio? Il Dio di Gesù segue una logica diversa, opera attraverso ciò che è piccolo e insignificante: è la logica del piccolo seme che diventa un grande albero, del poco di lievito che fa fermentare tutta la pasta. Perché nella tentazione si sottolinea che per avere il potere Gesù si sarebbe dovuto inchinare al diavolo e adorarlo? Perché ogni forma di potere, per essere esercitata, chiede di scendere a compromessi col male: il potere, anche se esercitato con giustizia, fa uso della forza, delle armi, della violenza. Dio non vuole avere niente a che fare con tutto questo.
Da notare in conclusione come le tre risposte che Gesù dà a Satana siano tutte citazioni dell’Antico Testamento. Ciò che guida e nutre Gesù nelle sue decisioni è solo la Parola di Dio. È intriso del modo di pensare di Dio. Questo lo conduce a scegliere secondo il cuore di Dio.