La parabola del buon samaritano

La parabola del buon samaritano è raccontata all’interno di un dibattito tra Gesù e un dottore della legge. Si apre così il racconto.

25Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai». 29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?».

(Lc 10,25-29)

Il dottore della legge pone una domanda con l’intenzione, sottolinea Luca, di “mettere alla prova” Gesù: siamo già in un contesto di contrapposizione tra Gesù e i capi del popolo. Questo conflitto, come vedremo, emergerà molto presto come reazione alla predicazione di Gesù e diventerà sempre più violento. Questo dottore della legge cerca quindi di mettere in difficoltà Gesù per trovare un motivo per accusarlo: la domanda non è limpida e sincera, è una domanda infame, per usare un linguaggio comprensibile a tutti. Chiede come fare ad ereditare la vita eterna. Gesù, quasi sorpreso dalla banalità della questione, fa notare che nella Scrittura è già presente una risposta, che il dottore della legge conosce benissimo e che sa recitare alla perfezione, come un bambino la poesia di Natale: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso“. E Gesù, perculandolo neanche troppo velatamente, chiude la discussione: bravissimo! Risposta perfetta! Sottointeso: ma se lo sapevi già perché me l’hai chiesto? Il dottore della legge capisce di aver fatto la figura dell’allocco e, volendo giustificarsi – precisa Luca – chiede a Gesù: e chi è il mio prossimo? Era questa una questione dibattuta tra i teologi dell’epoca. Nel libro del Levitico troviamo infatti la prescrizione di amare il prossimo come sé stessi (Lv 19,18), ma non è specificato chi era da considerare “prossimo”: alcuni davano un’interpretazione più ampia, altri più restrittiva. Gesù risponde raccontando la parabola del buon samaritano. Una parabola che risponde al dottore della legge ma in un modo alquanto velenoso…

30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così». 

(Lc 10,30-37)

Siamo sulla strada che collega Gerusalemme a Gerico, attraversando il deserto della Giudea. Era una delle più importanti vie commerciali di Israele che univa la capitale con quella che potremmo considerare la Las Vegas dell’epoca, Gerico, città ricca e prospera. Come ovvio le rotte commerciali erano normalmente insidiate da malviventi che assaltavano le carovane. Quello che Gesù racconta ricalca quindi episodi di cronaca piuttosto comuni all’epoca: un uomo che viene assalito dai banditi sulla strada che scende da Gerusalemme a Gerico (scende perché Gerusalemme è collocata a 750 metri circa sul livello del mare, Gerico invece in una depressione a -250 m circa).

Ciò che rende velenosa la parabola è la scelta dei personaggi da parte di Gesù. Sceglie come protagonisti negativi un sacerdote e un levita: due figure di primo piano cioè nella società e nella religione di Israele. I sacerdoti erano coloro che presiedevano l’offerta dei sacrifici nel tempio di Gerusalemme, provenivano da tutto Israele e a turno garantivano il servizio al tempio per una settimana. Anche i leviti erano legati al tempio, dove svolgevano diversi servizi: potremmo paragonarli ai sacristi delle nostre chiese. Dunque da un lato due figure direttamente legate alle religione di Israele, dall’altro un personaggio di matrice opposta: un samaritano, uno straniero, considerato eretico perché i samaritani non riconoscevano il culto del tempio di Gerusalemme. Gesù nella parabola pone questo samaritano come esempio positivo, come modello di riferimento. È chiaramente una scelta provocatoria. Gesù sta dicendo: questo straniero che nemmeno crede in Dio è migliore di voi che state tutto il giorno nel tempio!

Ma in cosa il samaritano è “migliore” del sacerdote e del levita? Normalmente liquidiamo velocemente la questione sottolineando l’indifferenza dei due e l’attenzione, che diventa assistenza e cura, del samaritano. Il tema è in realtà più complesso. Perché il sacerdote e il levita non si fermano di fronte all’uomo agonizzante? Non tanto perché indifferenti o insensibili, ma perché la legge di Israele afferma che chiunque tocca il sangue di un altro uomo, diventa impuro e non può accostarsi al tempio se non dopo essersi purificato. Il motivo per cui sacerdote e levita non soccorrono l’uomo incappato nei briganti è religioso: vedono e passano oltre per non trasgredire un precetto della loro fede!

Il tema fondamentale che Gesù mette in luce attraverso questa parabola è allora la domanda su quale sia il modo autentico di rendere culto a Dio. Sacerdoti e leviti sono convinti di onorare Dio preservando la propria purità, così da poter offrire il sacrificio nel tempio; di conseguenza lasciare agonizzare un uomo sulla strada non è contro la volontà di Dio ma, anzi, è ciò che permette al levita e al sacerdote di compierla. Gesù si oppone esattamente questo modo di pensare alla volontà di Dio. Ciò che qui denuncia è quella deriva della religione che trasforma il culto a Dio in qualcosa di disumano. Se la religione non favorisce l’umanità, l’attenzione, la cura dell’altro ma l’insensibilità e l’indifferenza, smarrisce il suo senso autentico. Il Dio di Gesù è celebrato in modo autentico dal samaritano, che al tempio non ci va, ma si prende cura di chi è nel bisogno. Da notare i verbi che Luca usa per descrivere l’atteggiamento del samaritano: “passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione“. Sono gli stessi verbi che i Vangeli riferiscono a Gesù, quando passa e incontra il malato, la prostituta, il pubblicano: il samaritano condivide lo stesso sguardo, lo stesso amore che appartiene e costituisce l’essenza di Dio. Non solo: il samaritano paga di propria tasca le cure per il malcapitato. È un amore che dona in totale perdita di sé. Quello stesso amore che Gesù manifesterà nella forma più alta dando la vita sulla croce. Si vede come Gesù e il samaritano appaino perfettamente sovrapponibili.

La priorità dell’amore per l’altro, la cura per l’altro nella gratuità come autentica forma di culto a Dio, è uno dei cardini della fede cristiana. Fare la volontà di Dio significa prendersi cura dell’altro. La preghiera, la partecipazione alla Messa, il pentimento per i peccati, vengono dopo. Questo concetto è espresso nella maniera più evidente al capitolo 25 del Vangelo di Matteo, quando Gesù parla del “giudizio universale”.

31Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». 44Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». 45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». 

(Mt 25,31-45)

Per esplicitare il metro di giudizio con il quale Dio guarda alla nostra vita, cosa Dio desidera da noi, Gesù assume come punto di vista la fine della storia. Quello su cui lo sguardo di Dio si sofferma è solo ed esclusivamente l’amore per l’altro espresso attraverso gesti concreti: dare da mangiare agli affamati, accogliere gli stranieri, visitare i malati… Solo questo importa a Dio, solo questo è compiere la volontà di Dio. Interessante soffermarsi sulla reazione di sorpresa che caratterizza sia i salvati i dannati : entrambi sono colti alla sprovvista. I santi si chiedono: quando mai abbiamo fatto tutto questo? In questa pagina del Vangelo i santi non sono nemmeno consapevoli di esserlo, hanno fatto la volontà di Dio senza nemmeno rendersene conto! A dire che ciò che importa agli occhi di Dio non è professarsi cristiani, frequentare il catechismo, andare in Chiesa… Tutto questo ha un valore, ma solo se aiuta, favorisce l’amore e la dedizione concreta per l’altro, nel quale è presente Dio stesso. Dove trovo Dio? Anzitutto nell’altro. Come posso amare e onorare Dio? Amando e onorando l’altro. È del tutto possibile secondo questo brano di Vangelo compiere la volontà di Dio, vivere secondo la logica di Dio, anche per chi è o si considera del tutto distante dalla Chiesa e dalla religione.

La reazione dei dannati (espressione che, come l’inferno, indica nei Vangeli un modo di vivere lontano da Dio e dalla sua logica) è espressa ancora meglio da Matteo a conclusione del discorso della montagna:

21Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22In quel giorno molti mi diranno: «Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?». 23Ma allora io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!». 

(Mt 7,21-23)

Coloro che ci sono presentati come dannati sono gente che ha vissuto a stretto contatto con la dimensione religiosa! Gente che – secondo il linguaggio biblico – parlava a nome di Dio e compiva miracoli in nome di Dio! Eppure non lo hanno mai conosciuto, non hanno mai vissuto secondo la logica di Dio, non hanno mai fatto davvero la volontà di Dio.

Fare la volontà di Dio significa avere lo stesso sguardo e la stessa cura del samaritano. Interessante la conclusione della parabola. Il dottore della legge aveva chiesto a Gesù “chi è il mio prossimo?”. Gesù alla fine gli pone questa domanda: “chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” Il termine “prossimo” subisce uno spostamento: non indica più la persona da aiutare ma colui che offre aiuto. Per Gesù il punto non è capire chi tu debba o non debba aiutare. La volontà di Dio non è una regola da rispettare, è un modo di vivere: il punto è farsi prossimo, vivere “da prossimo”, fare dell’essere prossimo per l’altro uno stile di vita. Qualcosa di così abituale che capita di compiere gesti d’amore anche senza rendersene conto, rimanendo poi sorpresi quando Dio ce lo fa notare.

Pubblicità