Il male attraversato dal Figlio di Dio

16Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. 17Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo18Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». 19E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. 20Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. 

(Mc 15,16-20)

È il momento più umiliante per Gesù. I soldati lo sfottono, lo riempiono di botte, gli sputano addosso, poi lo lasciano mezzo nudo e lo portano via per crocifiggerlo. Il tema della presa in giro di Gesù da parte dei soldati riguarda il motivo ufficiale della sua condanna: essersi proclamato re dei Giudei. Da qui la porpora, la corona di spine, le riverenze sarcastiche di fronte a Gesù.

Quello che qui troviamo raccontato di Gesù non può essere dato per scontato. Gesù in poche ore ha subito il tradimento da Giuda, che lo ha venduto per denaro, l’abbandono dei suoi amici, l’infamia di un arresto clandestino e di un processo farsa, il fallimento totale della giustizia umana, le botte, gli insulti, gli scherni dei soldati… Perché colui che ci è stato presentato come “il Figlio di Dio” accetta tutto questo? Come fanno i cristiani a dire che quello lì è Dio? Che senso ha tutta la sofferenza che Gesù subisce?

Gesù dal battesimo in avanti, ha scelto di compiere la sua missione di Messia condividendo la vita degli ultimi, dei peggiori, degli scartati, degli umiliati. Quello che vive durante la sua passione è l’estrema prosecuzione di questa scelta di vita, di questo stile messianico. Ma che senso ha un Messia, un Figlio di Dio che interpreta così la sua missione, che si circonda di ladri e prostitute, si lascia condannare ingiustamente, picchiare, umiliare, insultare, finanche uccidere? Gesù vuole mostrare il volto di un Dio che col suo amore ti raggiunge anche nel più rovente inferno. Gesù percorre i più bui meandri del dolore e della sofferenza umana per poter dire a chi li attraversa: anche lì Dio è con te, anche lì ti tiene la mano, anche lì non sei abbandonato, anche lì ti raggiunge e ti accoglie l’amore del Padre.

Troviamo qui la risposta a quella che è in assoluto la più complessa domanda della fede: dov’è Dio di fronte al male? La vicenda di Gesù ci permette di rispondere: Dio è lì con te, è lì che ti sostiene e accoglie col suo amore. Dio è l’estremo rifugio di amore accessibile anche dal buio più profondo. È questo il modo di Dio di stare di fronte e opporsi definitivamente al male, attraversandolo e sconfiggendolo: il luogo dell’abbandono e della sofferenza diventa luogo dell’amore. Cito sempre qui ai ragazzi l’episodio vissuto in prima persona e raccontato da Elie Wiesel, premio Nobel per la pace sopravvissuto ad Auschwitz. Racconta di come un giorno i nazisti impiccarono un bambino di fronte a tutti. Scena straziante, inaccettabile, insuperabile dimostrazione dell’ingiustizia e del dolore innocente. Wiesel racconta:

Dietro di me udii il solito uomo domandare: Dov’è dunque Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…

La condivisione da parte del Figlio di Dio del dolore più ingiusto e brutale permette di guardare anche al peggior delitto, alla peggiore ingiustizia, cogliendovi presente il volto di Dio: l’amore di Dio arriva fino a lì, non ti abbandona nemmeno lì, ti accoglie fra le sua braccia.

22Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», 23e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. 

(Mc 15, 22-23)

Il Golgota era il luogo delle esecuzioni dei condannati a morte, fuori dalle porte della città. Ai condannati a morte veniva normalmente offerto un miscuglio alcolico che li rendeva più docili e alleviava le sofferenze. Ma Gesù non ne beve. La morte di Gesù non è un incidente di percorso da sopportare, è la scelta che Gesù ha fatto di donare la propria vita. Per questo vuole rimanere fino all’ultimo consapevole, padrone di sé.

25Erano le nove del mattino quando lo crocifissero26La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». 27Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.29Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, 30salva te stesso scendendo dalla croce!». 31Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! 32Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

(Mc 15, 25-32)

Gesù viene crocifisso alle nove e morirà alle quindici. Starà sulla croce sei ore, un tempo molto breve per i condannati a questo tipo di morte. La morte di croce non sopraggiungeva infatti per le ferite inferte ma per asfissia: appesi per le braccia, i condannati dovevano sostenersi con le gambe per muovere la cassa toracica e respirare. Quando non avevano più forze per sostenersi, non riuscivano più a respirare e morivano, ma questo avveniva dopo molte ore. Gesù resta poco sulla croce e questo, stante il racconto evangelico, porta a ritenere che sia morto per un infarto, sopraggiunto a causa di tutte le sofferenze patite.

Intorno a Gesù, appeso alla croce, si odono solo insulti e scherni. In Marco entrambi i ladroni insultano Gesù, il racconto del “buon ladrone” lo troviamo solo in Luca. È interessante però quello che da sotto la croce i capi del popolo gridano a Gesù: “scendi dalla croce e ti crederemo!”. Verrebbe da chiedersi: perché Gesù non scende? Non avrebbe così realizzato il progetto originario di essere riconosciuto come Messia da Israele?

Emerge qui in tutta la sua drammaticità il “problema” di Gesù: se fosse ipoteticamente sceso dalla croce gli avrebbero creduto, ma solo perché così avrebbe dimostrato di essere quel Messia che loro si aspettavano: forte, potente, operatore di prodigi, che non si lascia uccidere dagli uomini. Quell’idea di Messia che invece Gesù ha scelto di non incarnare. La missione di Gesù è incarnare un Messia, rivelare il volto di un Dio diverso dalle attese: un Dio che è solo amore. Viene messo in croce proprio per aver affermato questa diversità. Questo è il dramma di Gesù: per farsi credere dovrebbe rinunciare a mostrare questo volto di Dio, ossia rinunciare al senso stesso della sua missione; se rimane fedele alla sua missione invece, non viene creduto. Ciò che Gesù ha cercato di comprendere dopo il fallimento del suo tentativo di farsi riconoscere come Messia è come poter portare a compimento la sua missione stante questa alternativa stringente. Perché sceglie il dono totale di sé nella morte come modalità per realizzare la sua missione? Gesù sceglie di rinunciare a essere compreso mentre è ancora in vita e, confidando nel Padre, decide di compiere un gesto che, se inteso nel suo senso autentico, avrebbe dato la possibilità di conoscere senza più fraintendimenti possibili il vero volto del Dio amore: sceglie di dare la vita per amore. La croce è intesa da Gesù, secondo i Vangeli, come manifestazione insuperabile del donarsi di Dio: mette in scena un Dio che ama al di là di ogni limite, al punto di morire per amore. Se intendiamo la croce come manifestazione di Dio, Dio ci appare ormai sempre e solo un Dio che ama di un amore infinito, un amore che non si ferma di fronte a nessun ostacolo. Niente di diverso da questo, cancellando in un colpo tutte le altre possibili rappresentazioni di Dio.

33Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 34Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 35Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». 36Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». 37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. 38Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo39Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!». 40Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, 41le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. 

(Mc 15,33-41)

A mezzogiorno, racconta Marco, il buio avvolge la terra: è il modo attraverso il quale l’evangelista esprime il senso di ciò che sta per accadere: è il momento più buio della storia. Il momento nel quale Dio viene rifiutato definitivamente dagli uomini e muore. C’è un tratto paradossale messo in luce nel racconto: a mezzogiorno è il momento in cui la luce del sole è più forte; è in questo momento che si fa buio. La croce è la massima manifestazione di Dio, il momento nel quale il suo volto appare nella sua luminosità più abbagliante, ma questa luce emerge dal buio della sofferenza e della morte.

Nel racconto di Marco, Gesù sulla croce pronuncia solo quattro parole: Eloì, Eloì, lemà sabactàni? È il grido di un uomo che muore abbandonato da Dio. È il grido di chi non percepisce più in alcun modo Dio nella sua vita, un uomo senza Dio. Gesù muore solo, di una solitudine così profonda da escludere anche Dio. Per usare un’immagine forte e probabilmente inappropriata potremmo dire: Gesù muore da ateo. Fino a lì è arrivato Gesù nel condividere l’esperienza umana, fino al punto in cui non c’è più neanche Dio: se il Figlio di Dio è arrivato fino a qui, nemmeno la più profonda lontananza da Dio lo è più davvero. La morte di Gesù ci rivela che Dio è presente col suo amore anche nell’esperienza della sua più totale assenza.

A conclusione del racconto Marco inserisce tre notazioni significative. La prima è il velo del tempio che si squarcia in due: con la morte di Gesù non è più il tempio il luogo della presenza di Dio. Dio ha ormai il volto del crocifisso, è presente in quell’amore che la croce ha rivelato e che non ha più confini.

La seconda notazione è la reazione del centurione che per primo coglie la croce come manifestazione di Dio. Ciò che Israele non ha saputo riconoscere, è colto da un pagano: anticipazione di ciò che avverrà nel percorso di accoglienza della fede cristiana, rifiutata dagli ebrei ma accolta dai pagani. Da notare però come ciò che il centurione esprime non sia ancora inteso nella sua completezza: il centurione dice “davvero quest’uomo era Figlio di Dio”. La fede cristiana porterà quel verbo al presente.

Da ultimo Marco annota la presenza delle donne sotto la croce: dove gli uomini sono fuggiti, le donne rimangono. È un dettaglio bellissimo che sottolinea uno sguardo del tutto positivo dei Vangeli sulle donne. Sono loro quelle che restano anche di fronte alla croce, saranno loro le prime ad accogliere la risurrezione.

42Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato43Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch'egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. 44Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. 45Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. 46Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all'entrata del sepolcro. 47Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.

(Mc 15,42-47)

Gesù muore il venerdì. Il sabato è per gli ebrei il giorno del riposo e, nella concezione ebraica, il nuovo giorno comincia al tramonto. C’è quindi poco tempo per rimuovere il corpo di Gesù dalla croce e porlo nel sepolcro. Il Vangelo di Giovanni racconta che, proprio a motivo dei tempi stretti, i Giudei chiesero a Pilato di spezzare le gambe ai tre crocifissi per accelerare la morte. A Gesù però, essendo già morto, non spezzarono le gambe ma, per verificare che fosse realmente morto, trafissero il costato (Gv 19).

A supervisionare la sepoltura, troviamo ancora le donne, che accompagnano con il loro sguardo e il loro amore gli ultimi momenti della vicenda dell’uomo Gesù.

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