Escalation di violenza, attacchi, attentati, coprifuoco… Non è la stessa cosa leggere quello che sta accadendo in Israele e Palestina dopo esserci stati. Non è la stessa cosa sapere di tutto questo dopo aver visto con i propri occhi i campi profughi a Nablus, dopo aver percorso la spianata delle moschee a Gerusalemme col sottofondo del grido “Allahu Akbar” dei capannelli di musulmani rivolto agli ebrei ortodossi scortati dalla polizia;
dopo aver pregato per la pace lungo il muro che separa i territori palestinesi da quelli israeliani e aver fatto i conti ai checkpoint con la macchina paranoica della sicurezza israeliana. Non è la stessa cosa perché alla mente tornano immagini, volti, emozioni.
C’è in particolare un momento che leggendo i fatti di questi giorni mi torna con forza alla mente e non se ne vuole andare. Un momento immortalato da questa foto:
È una foto del viaggio di nozze che io e mia moglie abbiamo vissuto quest’estate in Giordania. A vederla così probabilmente non dice molto, in realtà racchiude tantissimo. Siamo al Sito del Battesimo, il luogo dove con ogni probabilità Giovanni il Battista predicava e Gesù venne battezzato. Il corso d’acqua che si vede è il Giordano. Di qua del fiume è Giordania, dall’altra sponda è Israele. Non si può passare da una parte all’altra del fiume. Non si può attraversare il confine. Chi arriva dalla parte giordana non può visitare il versante israeliano e viceversa. Rigidità che sono cicatrici di anni di tensioni e stato guerra tra i due paesi.
L’uomo di spalle con la camicia bianca, è Hussein, la nostra guida. Un giordano che parla italiano alla perfezione, sinceramente musulmano, praticante al punto che, di tanto in tanto, mentre noi ci perdavamo a far foto, tirava fuori il suo stuoino e si metteva a pregare faccia a terra rivolto alla Mecca. Ci confidava il suo desiderio di poter tornare a pregare a Gerusalemme. C’era stato anni addietro. Dal confine in linea d’aria sono 30 km circa. Non ci può andare se non affrontando infinite trafile burocratiche.
Sulla destra c’è un gruppo di pellegrini cristiani giapponesi. Da quando siamo arrivati a quando ce ne siamo andati non hanno smesso un istante di cantare, di pregare. Cantavano in coro nella loro lingua, con le mani alzate e lo sguardo rivolto al cielo e al fiume. Siamo rimasti per una buona mezz’ora lì, ascoltando le loro voci e pregando anche noi con loro. Assaporando la pace infinita che si diffondeva nel cuore.
È quando siamo venuti via che Hussein ci ha sorpreso come non mai. Si è avvicinato e ci ha confidato che guardando e ascoltando quel gruppo di giapponesi pregare si è commosso: “ho visto in loro quanto è forte il desiderio di Dio che c’è in ogni uomo”, ci ha detto.
In questi giorni di nuova tensione tra israeliani e palestinesi è questa immagine ad occupare la mia mente ed il mio cuore. L’immagine di un luogo che porta i segni della divisione, della guerra, della sofferenza. L’immagine di un luogo dove ho visto persone mai così distanti per cultura, religione, provenienza, guardasi e riconoscere di condividere un desiderio comune, una direzione comune: essere uomini in cerca di Dio.
Prego perché tutto questo possa prevalere su ogni divisione, su ogni muro, su ogni violenza.